Putto alato
Autore | Paolo Caliari, detto Veronese |
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Periodo | (Verona 1528 - Venezia 1588) |
Datazione | 1551 |
Supporto | Affresco trasportato su tela, 74,8x67 |
Inventario | A 73 |
Autore della scheda | Giovanna Baldissin Molli |
Questo frammento, facente parte di un ciclo molto più ampio di affreschi, proviene dalla loggia al primo piano di Villa Soranzo a Treville (vicino a Castelfranco Veneto), progettata da Michele Sanmicheli e affrescata nel 1551 da Veronese e da Giambattista Zelotti. L’edificio venne distrutto tra il 1817 e il 1819. In quell’occasione gli affreschi furono strappati, con una tecnica ancora sperimentale, dal conte Filippo Balbi di Venezia, chimico e ingegnere, che li mise in vendita. Da quel momento in poi, i vari frammenti si dispersero seguendo percorsi diversi e solo alcuni anni più tardi, nel 1890, il putto vicentino entrò a far parte della raccolta pittorica di Palazzo Chiericati, come dono dell’ingegner Giovan Battista Cita.
Il giovane Veronese offre, con quest’opera, un saggio della sua perizia e della sua abilità nella resa dello scorcio. Il piccolo putto dalle proporzioni monumentali, affacciato alla balaustra è compresso in uno spazio angusto “limitato e circoscritto da un’architettura scenografica e illusionista” (Villa).
Forte è il richiamo alla cultura figurativa centro-italiana, in particolare al manierismo di area mantovana ed emiliana, che però Veronese sa reinterpretare e innovare, unendo al disegno preciso e sicuro con cui delinea la figura del putto, in particolare i tratti del viso, la modellazione delle sue voluminose masse data dalla luce intensa che schiarisce e addolcisce i colori.
Cartellini
su carta bianca, a stampa con inchiostro nero INTERLINEA/ FINE ARTS PACKERS/ e a penna con inchiostro blu F44/ “PUTTO ALATO CHE OCCHIEGGIA…” DI P. VERONESE/ EX CIVICI MUSEI VICENZA
Provenienza
Treville (Castelfranco Veneto), villa Soranzo; dono Giovan Battista Cita, Vicenza 1890 (busta 4)
Restauri
1910, Franco Steffanoni; 1989, Corest
Inventari
1902: c. 27, 126 (116). 116. Putto alato. Affresco trasportato in tela. Alto 0.70, largo 0.70. Paolo Veronese. Sgrostato. Buona;1907: 116 (116). Paolo Caliari detto il Veronese. Figlio di Gabriele scultore, nacque a Verona verso il 1530 e morì nel 1588, fu discepolo di Antonio Basile, di cui sposò la figlia. Putto alato. Affresco trasportato su tela, 0.70x0.70; 1908: 116 (73). Paolo Caliari. Putto alato (affresco trasportato su tela, 0.70x0.70. Fu donato nel 1890 al Museo da Giovanni Battista Cita, insieme coi documenti che provano l’autenticità dell’opera;1910-1912: 73 (79). Numerazione vecchia: 116 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 126 catalogo 1902; 73 catalogo 1912; 73 catalogo 1940; 73 inventario 1950. Provenienza: dono di Giovanni Battista Cita, 1890; proveniente da villa Soranza già esistente presso Castelfranco Veneto. Collocazione: sala dei veneti dei secoli XVI e XVII. Forma e incorniciatura: rettangolare. Dimensioni: inventario 1950 0.75x0.67. Materia e colore: affresco trasportato su tela. Conservazione e restauri: rinsaldato e rintelato da Franco Steffanoni nel 1910. Descrizione: Putto alato, particolare di decorazione. Data: 1551 catalogo 1940. Autore: anticamente attribuito a Paolo Veronese, con maggior probabilità opera di Giambattista Zelotti eseguito per conto di Paolo e sotto la sua direzione; catalogo 1912 Giambattista Zelotti; catalogo 1940 Paolo Veronese (riconosciuto nella mostra veneziana del Caliari); inventario 1950 Polo Veronese. Bibliografia: vedi F. N. Vignola, Appunti sulla Pinacoteca vicentina, Bollettino del Museo, fascicolo II, 1910. Iconografia: foto Fiorentini CN 4408 (Paolo Veronese). Osservazioni: donato dal Cita assieme ad alcuni documenti che determinano la provenienza del dipinto.
Descrizione tecnica
Il pezzo è ben noto e da tempo riconosciuto tra gli autografi veronesiani. Si tratta di un frammento, la cui storia è ricostruibile fino a un certo punto, proveniente da villa Soranza a Treville, vicino a Castelfranco Veneto, costruita su progetto di Sanmicheli e decorata da Zelotti e Veronese “creati”, come li definì Vasari, dell’architetto. Unanimemente il complesso è sempre stato riconosciuto quale incunabolo della decorazione pittorica totale delle illustri dimore della nobiltà veneta, prima apertura di quella “civiltà delle ville” tanto caratterizzante il dominio di terraferma veneziano. La storia della distruzione della villa (1817-1819) e dello strappo degli affreschi, effettuato con metodi pionieristici dal conte Filippo Balbi di Venezia, chimico e ingegnere, è nota grazie alla diffusione a stampa dell’avvenuta operazione, che Balbi pubblicò nel Giornale dell’Italiana Letteratura del 1819. I 156 frammenti di affresco così ottenuti presero strade diverse: Balbi li mise in vendita e in buona parte furono acquistati da un mercante veneziano, Vendramin. Alcuni frammenti rimasero in mano del conte che successivamente in parte li donò al Duomo di Castelfranco e in parte all’amico Giannantonio Moschini. Il gruppo principale, del Vendramin, andò a finire in Inghilterra e la Literary Gazette del 31 dicembre 1825 elenca 21 pezzi, cui si aggiunsero quelli elencati nell’annata 1827, per un totale di trentotto. A questo punto i frammenti presero strade diverse e il nostro putto ricomparve, quale dono di Giovanni Cita nel 1890, negli inventari del Museo successivi a tale data. Oggi sono noti 15 frammenti, in diverso stato di conservazione, e suddivisi tra le mani di Veronese e Zelotti. Fra questi di particolare interesse è la Gloria paolesca del Seminario di Venezia che reca la data 1551 e tale indicazione cronologica, da estendere ragionevolmente a tutti i frammenti pervenuti, assegna anche il nostro putto (che nel catalogo del 1912 è ritenuto di Zelotti) a un giovanissimo Paolo, prima dell’importante commissione mantovana per il duomo (Tentazioni di sant’Antonio, oggi a Caen) e del trasferimento a Venezia (per tutto il complesso problema della decorazione della villa e la lunga bibliografia relativa, si rinvia a Pignatti-Pedrocco, 1995, pp. 23-25, 50-53, cat. 17-22; in calce alla seguente scheda è invece segnalata la bibliografia specifica sul Putto vicentino).
La decorazione della villa comprendeva, nelle diverse sale, allegorie delle Stagioni, divinità mitologiche, storie di Alessandro Magno, e vari paesaggi, situati al di là dell’architettura illusionistica. Forse i pezzi con gli angioletti tra i pilastrini di una balaustra adornavano la loggia che dal centro partiva con le colonne in verticale, poi via via spostate con un effetto di asse prospettico. Tale complessa e nuova orditura, elaborata probabilmente sulla suggestione della decorazione della vicina villa Priuli, distrutta e già affrescata da Iseppo Porta Salviati nel 1542, si riflette nella piccola porzione del nostro affresco, il migliore tra quelli raffiguranti tale soggetto (duomo di Castelfranco e già Parigi, collezione privata); se Fasolo ne ricorda le passate attribuzioni a Zelotti (anche se già Venturi ne aveva elogiato la qualità), da quel momento in avanti l’autografia paolesca non è più stata messa in discussione. L’intento illusionistico deforma l’andamento dei pilastrini della balaustra e la figura del putto, vera creatura della Maniera, è disarticolata negli arti e ricomposta sul piano con scorci che dichiarano tutta la perizia del giovane Veronese e la sua profonda comprensione della cultura centro-italiana. Venturi lo definì “un piccolo Ercole dalle chiome arruffate, [ch]e sembra, così veduto di scorcio, una grande farfalla variopinta fissa tra i fusi argentei”, sì da richiamare alla mente le righe di Roberto Longhi sulla Maniera di Paolo Veronese, sentita e vissuta come un abito naturalmente indossato, liberamente adattata ai contesti ornamentali che l’artista elaborò e diffuse nella pittura veneziana dei decenni centrali del secolo.
Bibliografia
Ongaro, 1912, p. 42 (Zelotti); Venturi A.², 1929, p. 761; Arslan, 1934, p. 16; Pallucchini, in Mostra di…, 1939, pp. 36- 43; Fasolo, 1940, p. 104; Pignatti, 1976, p. 106, n. 15; Ballarin An., 1982, p. 104 (portato su tela da Steffanoni nel 1910); Gisolfi Pechukas, 1987, p. 73; Brugnolo Meloncelli, 1992, pp. 83-84; Barbieri, 1995, p. 82; Pignatti-Pedrocco, 1995, pp. 23-25, 50; Dossi, in Capolavori…, 1998, p. 57, cat. 15.
Esposizioni
Venezia, 1939, cat. 8; Kiev, 1998, p. 57, cat. 15.