Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giacomo apostolo e Girolamo
Autore | Giambattista Cima detto da Conegliano |
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Periodo | (Conegliano 1459 circa - Venezia 1517/1518) |
Datazione | 1489 |
Supporto | Tela, 214x179 |
Inventario | A 146 |
Autore della scheda | Maria Elisa Avagnina |
La tela, commissionata dai fratelli Jacopo e Girolamo Sangiovanni per la seconda cappella di sinistra della chiesa di San Bartolomeo a Vicenza, venne realizzata, dopo lunghi ed approfonditi studi e numerosi disegni preparatori, da Giambattista Cima da Conegliano a Venezia. Solo in seguito fu trasportata a Vicenza. Un cartiglio alla base del trono, reca la firma dell’artista oltre alla data 1489 e alla scritta adì primo Mazo, da intendersi come maggio.
Sapiente e calibratissima è l’impostazione spaziale della composizione, dominata da un’intelaiatura architettonica, che lascia intravedere, dietro l’alto muro, un rigoglioso giardino (forse una sorta di Eden) e che raggruppa sotto una pergola prospettica la Vergine con il Bambino ritto sulle sue ginocchia. “La figura di Maria, alta sul trono marmoreo e mestamente assorta nel presagio della passione del Figlio, posta in asse con l’accesso al giardino, si qualifica come porta del cielo e veicolo di redenzione attraverso il sangue della croce, alluso dalla vite del pergolato e dal marmo vermiglio del trono, e la promessa della resurrezione, simboleggiata dalla lucertola che si inerpica sul muro; tutto secondo il destino di morte e di salvezza scritto nel volume chiuso che trattiene in bella evidenza sul ginocchio o che san Girolamo mostra all’attenzione del riguardante, o nel libro aperto nel quale san Giacomo affonda la sua meditazione” (Avagnina). Una luce chiara filtra attraverso il pergolato e accarezza le figura enfatizzando l’aura di muta sospensione che traspare dal dipinto.
L’esatta costruzione prospettica del pergolato sovrastante il trono della Vergine si propone come un esempio della completa assimilazione della funzione dell’architettura, celebrata da Leon Battista Alberti, nell’ambito della produzione pittorica.
Iscrizioni
in un piccolo cartiglio al centro del gradino più basso del trono: Joanes baptista de Coneglano fecit/ 1489. adì. primo Mazo
Provenienza
Vicenza, chiesa di San Bartolomeo; Vicenza, Sacro Monte di Pietà, 1819; Vicenza, deposito presso il palazzo Municipale, 1820; Vicenza, palazzo Municipale, sala del Consiglio, 1831; Vicenza, acquisto del Comune dalla Congregazione di Carità, 1833 (MCVi, Museo, Acquisti, b. 1, fasc. “Acquisto dipinti Ospedale civile” contenente la corrispondenza intercorsa tra la Congregazione municipale e l’Ospedale civile di Vicenza per l’acquisto di dipinti di proprietà dell’Ospedale, perfezionato con delibera consigliare del 1833, giu. 28, inserto “prospetto dimostrante il prezzo attribuito ai dipinti posseduti dall’Ospedale civile di Vicenza, de’ quali si progetta la vendita a quella Congregazione municipale, eretto dalla Commissione istituita dalla presidenza della imperial regia Accademia delle belle arti coll’ordinanza 8 agosto 1832”, Venezia, 1832, ago. 26: al n.“7. Cima da Conegliano. Beata Vergine col Bambino sedente in trono, con san Giacomo e san Girolamo. Riesce inutile il dettagliare i pregi di questa opera che è una delle più belle di questo insigne pittore, mentre ogn’uno conosce l’abilità di tanto autore, ed i pregi che accompagnano indispensabilmente una delle migliori sue opere. Gli fu attribuito il prezzo di zecchini 300”)
Restauri
1962, Giuseppe Giovanni Pedrocco; 1986-1989 Corest; 2010, Renza Clochiatti
Inventari
1820: 9. Pala colla beata Vergine e Bambino in trono con ornati di architettura con san Giacomo e san Girolamo, pittura di Giovan Battista Cima da Conegliano del 1489. Proprietà dello Spedale grande degli infermi e de’ poveri amministrato dalla Congregazione di Carità; 1831: 81. Sala detta del Consiglio. Cima da Conegliano. La beata Vergine col Bambino in trono, san Girolamo et cetera. Ospitale civile, n. 2495 del 1820, 9; [post1834]: 21. Cima da Conegliano. La beata Vergine col Bambino in trono, san Giovanni Battista e san Girolamo, 51; 1854: 51. 2.80. 2.35. Cima da Conegliano. Beata Vergine col Bambino e due santi; [1873]: Seconda stanza a tramontana, parete sinistra entrando, 54 (56). Giovanni Battista da Conegliano nato 1460, segnato Gioane Battista da Conegliano fecit 1489 adì primo mazo. Maria vergine in trono col Bambino, san Girolamo e san Jacopo [corretto su sant’Andrea]; 1873a: c. 5, 54. Giovanni Battista da Conegliano (1489). Maria vergine in trono col Bambino, san Girolamo e san Jacopo [segue la nota a matita era nella chiesa di San Bortolo]; 1902: c. 50, 232 (222). 224. Maria vergine col Putto, san Girolamo e san Iacopo. Tela a tempera [corretto su ad olio]. Alto 2.05, largo 1.60. Giovanni Battista Cima da Conegliano. Molto guasto specialmente nel centro. Non buona. Dalla chiesa soppressa di San Bartolomeo; firmata Joannes Baptista de Coneglano fecit 1489 adì primo mazo. La cornice architettonica fu ad un tempo riparata e porta gli stemmi dei Sangiovanni; 1907: c. 24, 224 (222). Giovanni Battista Cima da Conegliano, figlio di Pietro cimatore di panni, nacque intorno al 1460 e morì nel 1517 oppure nel 1518, egli abitava in Venezia a San Luca; nelle opere di questo artista il professor Paoletti trova l’influenza di Bartolomeo Montagna. Maria vergine col Putto, san Girolamo e san Iacopo. Tela a tempera, 2.05x1.60. Firmato Ioanes Baptista de Coneglano [corretto a matita su Ioannes Baptista da Conegliano] fecit 1489 adì primo mazo. La cornice architettonica fu ad un tempo riparata e porta gli stemmi dei [aggiunto a matita De Giovanni]; era nella chiesa soppressa di San Bartolomeo; 1908: 222 (146). Giovanni Battista Cima da Conegliano. Maria vergine col Bambino, san Girolamo e san Giacomo (tela a tempera, 2.05x1.60, firmato). Nel 1908 si trova nella terza stanza a sinistra. Nel 1873 si trovava al n. 54 della stanza da lui intitolata. Nel catalogo a stampa del Magrini dell’anno 1855 si trova nella seconda stanza a tramontana al n. 10. Nell’inventario di consegna della Pinacoteca al Museo dell’anno 1854 porta il n. 51 e le dimensioni 2.80x2.35. Nel 1820 venne depositato nella Pinacoteca dalla Congregazione di Carità col n. IX e il 26 agosto 1832 venne dalla Congregazione stessa venduto al Comune per 300 zecchini; 1910-1912: 146 (151). Numerazione vecchia: 222 numerazione Commissione d’inchiesta 1908; 54 catalogo 1873; 10 Magrini catalogo a stampa 1855; 232 catalogo 1902; 51 inventario di consegna 1854, IX n. di deposito; 146 catalogo 1912; 146 catalogo 1940; 146 inventario 1950. Provenienza: dalla distrutta chiesa di San Bartolomeo (ora Ospedale civile); depositato al Museo dalla Congregazione di Carità nel 1820 e venduto da questa al Comune nel 1832 per 300 zecchini. Collocazione: sala dei veneti antichi. Forma e incorniciatura: quadro rettangolare con cornice architettonica recante in basso gli stemmi dei Sangiovanni. Dimensioni: alto m 2.05, largo m 1.60; inventario 1950 2.14x1.79. Materia e colore: dipinto a tempera su tela. Conservazione e restauri: molto guasto nella parte centrale. Descrizione: La Madonna in trono col Putto e ai lati i santi Girolamo e Jacopo; firmato Joannes Baptista de Conegliano fecit 1489 adì 10 marzo. Data: 1489. Autore: Giambattista Cima da Conegliano; catalogo 1912 Giambattista Cima da Conegliano; catalogo 1940 Giambattista Cima da Conegliano; inventario 1950 Giambattista Cima da Conegliano. Bibliografia: Storia dell’arte italiana n. 39, Fabbri editori, p. 629. Iconografia: foto Alinari n. 13507; foto Fiorentini (Venezia) CN 4542.
Descrizione tecnica
Il dipinto si trovava in origine sul secondo altare a sinistra della chiesa di San Bartolomeo a Vicenza, nella cappella fatta erigere nel 1483 dai fratelli Jacopo e Girolamo Sangiovanni, come attestava l’iscrizione ivi collocata (Barbarano, 1761; Faccioli, 1776) e la cui arcata d’accesso, oggi rimontata nella chiesa dei Carmini di Vicenza, si intravede all’estremità sinistra dell’acquerello di Bartolomeo Bongiovanni riproducente l’edificio prima dell’abbattimento (Humfrey, 1977). Ceduto in deposito dalla Congregazione di Carità, proprietaria della chiesa, al Comune di Vicenza nel 1820, fu da questo acquistato per la somma di 300 zecchini nel 1833. Segnalato nel 1822 e nel 1830 (Berti) nel palazzo comunale, adiacente all’epoca alla Basilica palladiana, fu trasferito a metà degli anni trenta dell’ottocento nel salone della Confraternita dei Rossi, al piano superiore dell’oratorio di San Cristoforo, per entrare definitivamente in palazzo Chiericati nel 1855, al momento dell’inaugurazione del Museo. Commissionata verosimilmente dagli stessi fratelli Sangiovanni, come prova la presenza ai lati della Vergine dei santi omonimi Jacopo e Girolamo, la pala reca in un cartiglio alla base del trono, accanto alla firma dell’autore, la data 1489. adì. primo Mazo, da intendersi come maggio, giusto il rilievo di Venturi (1907) e von Hadeln (1912²), ma letta e riportata dai vecchi inventari museali come 7 o 10 marzo e erroneamente trascritta come primo marzo ancora in Menegazzi (1962 e 1981). Negli inventari degli anni trenta e settanta dell’ottocento, come pure in Coletti (1959), il santo sulla sinistra è erroneamente identificato ora con san Paolo, ora con san Giovanni, anziché con san Giacomo.
La cornice architettonica a chiusura rettilinea è considerata da Humfrey (1977) un rifacimento ottocentesco, ma sembra in realtà conservare parti originali riattate, come riporta l’inventario del 1907.
Lo scarto di sei anni intercorrente tra l’erezione della cappella e la realizzazione della pala, indizio per Lucco¹ (1987, p. 155) di una lunga elaborazione del dipinto, potrebbe altresì spiegarsi con le circostanze della sua commissione, per la quale i due esponenti della famiglia Sangiovanni, da poco entrati nel novero della nobiltà vicentina e desiderosi probabilmente di ben figurare nel contesto della decorazione pittorica di San Bartolomeo, ricercano un artista proveniente dalla capitale lagunare, individuato forse tramite la mediazione di un terzo fratello, monaco dal 1467 nel monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia (Humfrey, 1977). A favore di un’esecuzione della pala a Venezia e di un suo successivo trasporto a Vicenza, favorito peraltro dalle caratteristiche tecniche dell’opera, eseguita a tempera su una tela molto sottile, si sono pronunciati, in contraddizione con Burckhardt (1905), von Hadeln (1912), Berenson (1919), Coletti (1959) e più di recente Lucco¹ (1987). Quest’ultimo esclude categoricamente anche l’eventualità di un viaggio di Cima nella città berica, sostenuto invece da Humfrey (1977 e 1983) e avvalorato da Tempestini (1986), probabilmente in occasione della stipula del contratto, per spiegare la singolare “vicentinità” del dipinto, in perfetta sintonia con la spazialità e il progetto decorativo di San Bartolomeo; ipotesi condivisibile, che consentirebbe di recuperare in questo caso il discusso rapporto Cima-Montagna, non in termini di dipendenza, ma al più di confronto tra i due artisti, come tributo del primo nei riguardi del più anziano e accreditato maestro locale, regista attendibile della decorazione complessiva della chiesa.
Prima opera sicuramente datata di Cima pressoché trentenne, successiva al polittico di Olera, autorevole e pienamente matura sotto il profilo della tecnica e dello stile, la tela pone il problema degli esordi pittorici e della formazione dell’artista, argomento su cui la critica, in assenza di indizi documentari, si è lungamente esercitata con opinioni divergenti, che spaziano dal supposto alunnato presso il Montagna, teorizzato per primo da Burckhardt (1905), accolto da Lionello (1905 e 1907) e Adolfo Venturi (1915) e da Pallucchini (1962) e riproposto con vigore da Puppi (1962), che sostiene una permanenza di Cima presso il maestro vicentino dal 1482 al 1487 e una mediazione di quest’ultimo nella committenza della tela per i Sangiovanni, all’ipotesi di una formazione nell’ambito provinciale friulano-trevigiano, intorno al 1480, accanto a Girolamo da Treviso il Vecchio, sostenuta da Coletti (1959), mentre i più recenti contributi critici sul pittore riprendono, nella sostanza, la notizia tramandata dalle fonti (Vasari, Sansovino, Ridolfi, Boschini, fino al Lanzi) che pongono la formazione del pittore coneglianese all’interno del clima veneziano del nono decennio, caratterizzato dalla rielaborazione da parte di Giovanni Bellini e Alvise Vivarini della grande lezione di Antonello.
Opera sorvegliatissima, di calibrata sintassi spaziale (Magagnato, 1962 e 1964), la pala trasmette al riguardante un senso di appagante equilibrio, di “alta pace rurale” (Longhi, 1946) nel limpido rigore compositivo e nella freschezza del dato naturalistico. Facendo ricorso ad una intelaiatura architettonica di sapore lombardesco-codussiano, Cima dispone le figure dei santi sullo sfondo di due spogli tratti di muro, oltre i quali svettano rigogliosi gli alberi di un giardino (forse l’hortus conclusus del Canto dei cantici per Humfrey, 1983, p. 163 o quello della castità di Maria per Gentili, 1994, p. 73 o, più semplicemente, l’Eden perduto dei progenitori, se non addirittura un richiamo all’araldica familiare dei Sangiovanni) e isola il gruppo della Vergine con il Figlio nel vano di una pergola ariosa, da cui filtra sulla sinistra una luce ferma, che accarezza le forme, siglando in questo modo “una straordinaria invenzione poetica”, senza uguali nella produzione successiva, e traducendo in immagini indimenticabili i contenuti simbolici del dipinto (Gentili, 1994). La figura di Maria, alta sul trono marmoreo e mestamente assorta nel presagio della passione del Figlio, posta in asse con l’accesso al giardino, si qualifica come porta del cielo e veicolo di redenzione attraverso il sangue della croce, alluso dalla vite del pergolato e dal marmo vermiglio del trono, e la promessa della resurrezione, simboleggiata dalla lucertola che si inerpica sul muro; tutto secondo il destino di morte e di salvezza scritto nel volume chiuso che trattiene in bella evidenza sul ginocchio o che san Girolamo mostra all’attenzione del riguardante, o nel libro aperto nel quale san Giacomo affonda la sua meditazione.
Per l’individuazione della fonte figurativa del dipinto, in ogni caso rielaborata da Cima in termini di autonoma, inarrivabile poesia, la critica ha suggerito precedenti diversi: dalla tavola di Bartolomeo Vivarini per la Cattedrale di Bari (1476), proposta da Menegazzi (1962), alla pala di Bartolomeo Montagna oggi nella chiesa del castello di San Giovanni Ilarione, ma in origine nella chiesa di San Lorenzo a Vicenza, indicata da Borenius (1912, pp. 11-12) e confermata da Puppi (1962), per l’elemento del giardino al di là del muro (ipotesi di dipendenza clamorosamente invertita da Berenson, 1919, pp. 191-192 e Gilbert, 1967); dal trittico di Giovanni Bellini della chiesa dei Frari a Venezia (1488), già suggerito da Hadeln (1912) e riproposto da Berenson (1919, p. 183) e Coletti (1959, p. 34), al divisorio di Pietro Lombardo nella corte di San Giovanni Evangelista a Venezia, avanzato da Humfrey (1983, p. 163) per lo schema compositivo generale; infine la pala d’altare di Alvise Vivarini (1480), già in San Francesco di Treviso e oggi alle Gallerie dell’Accademia, per il gruppo della Vergine con il Bambino in particolare (Humfrey, ib.). Peregrino appare il riferimento di Van Marle (1935) a precedenti toscani per la soluzione di Madonne d’innanzi a mura di cinta o verzieri, cui peraltro Coletti (1959, p. 26) sembra accordare credito. Alle suggestioni citate si aggiungerebbe (Puppi², 1962; Ballarin An., 1982) il ricordo diretto di orti e giardini tardoquattrocenteschi, non solo lagunari, impostati intorno a pergolati, come quelli che compaiono in alcune xilografie della Hypteronomachia Poliphili o nella raffigurazione degli orti della Giudecca nella pianta di Venezia di Jacopo de’ Barbari.
Al dipinto sono stati riferiti due disegni preparatori, spia dell’importanza annessa da Cima all’opera: uno studio per la figura di san Girolamo conservato presso il Gabinetto dei disegni degli Uffizi (cat. 191, ill. 22), già riconosciuto da Hadeln (1925) e unanimemente accettato, e un progetto per l’immagine della Vergine nel Museo Boymans-van Beuningen di Rotterdam, già messo in relazione con la pala dai Tietze-Conrat (1944, p. 160), che però Coletti (1959, pp. 76-77) ritiene eseguito in preparazione di una Madonna più tarda, tipo la Madonna dell’Arancio, mentre Lucco (1987¹, pp. 150, 166, n. 26) giudica fedelmente utilizzato nella tela vicentina per quanto riguarda la parte inferiore della figura, dalle ginocchia in giù.
Nonostante le condizioni di conservazione non ottimali dell’opera (si veda in particolare l’estesa lacuna all’altezza dell’addome della Vergine e delle gambe del Bambino, risarcita durante l’ultimo restauro) e lo stato di generale depauperamento del colore, le analisi effettuate hanno confermato la tecnica pittorica raffinatissima e sperimentale di Cima, affidata all'uso di colori particolari in ripetute sovrapposizioni di stesura (scheda xy pp. 000-000).
Echi locali dello schema compositivo cimesco si possono cogliere nella pala raffigurante la Madonna con il Bambino tra i santi Giobbe e Gottardo, realizzata da Marcello Fogolino intorno al 1505-1508 per la distrutta chiesa di Santa Barbara a Vicenza e oggi a Brera (Lucco, in Pinacoteca di Brera…, 1990).
Bibliografia
Vasari, 1568, p. 663; Castellini², ms. 1628 circa, c. 218; Boschini, 1676, p. 87; Boschini 1676 (ed. 2000), pp. 178, 230 n. 285; Barbarano, 1761, V, pp. 434-435; Bertotti-Scamozzi, 1761, p. 108; Faccioli, 1776, p. 92 n. 27; Buffetti, 1779, I, p. 7; Bertotti-Scamozzi, 1780, p. 91; Bertotti-Scamozzi, 1804, p. 90; Berti, 1822, p. 26; Berti, 1830, p. 25; Mündler, 1850, p. 49; Selvatico, 1852-1856, II, p. 493; Magrini, 1855, p. 56, n. 10; Mündler, 1855-1858 (1985), p. 79; Cabianca-Lampertico, 1861, p. 247; Formenton, 1867, pp. 357, 940; Zanotto, 1867, p. 152; Ciscato, 1870, p. 87; Elenco dei principali…, 1881, p. 7; Lafenestre, 1885, p. 322; Lermolieff, 1890, p. 364; Morelli, 1892, p. 277; Botteon-Aliprandi, 1893, pp. 30, 60-61, 120-121; Berenson, 1894, p. 98; Gronau, 1894, pp. 463-464; Berenson, 1895, pp. 70-71; Morelli, 1897, p. 282; Kraus, 1900, II, pp. 11, 200; Burckhardt, 1901, II, parte III, p. 717; Vital, 1902, p. 26; Burckhardt, 1905, pp. 11, 15-17, 120, 131-139; Pettinà, 1905, p. 72; Venturi, 1905, pp. 308-310; Layard, 1907, I, p. 324; Venturi, 1907, pp. 257-258; Borenius, 1909, pp. 11-12, 18 n. 1, 24 n. 1; Michel, 1909, p. 428; Peraté, 1909, IV, p. 1, 428; Borenius, 1912, pp. 11-12, 18 n. 2, 25 n. 1; Cavalcaselle-Crowe, 1912, I, p. 238; Ongaro, 1912, p. 63, 65; Phillips, 1912, pp. 105, 116; Von Hadeln², 1912, pp. 593-594; Frizzoni, 1913, pp. 188-189; Rumor, 1915, p. 303; Venturi, 1915, pp. 501-502; Berenson, 1916, pp. 190-194; Berenson, 1919, pp. 179, 181, 184, 186-187; Bortolan-Rumor, 1919, pp. 93, 152; Tarchiani, 1920, pp. 283, 286; Von Hadeln, 1925, pp. 62-63, tav. 73; Von Hadeln, 1926, p. 3; Lorenzetti, 1926, pp. 96-97; Vital, 1926, p. 18; De Mori, 1928, p. 75; Corna, 1930, I, p. 252; Fogolari, 1931, p. 244; Berenson, 1932, p. 148; Calì¹, 1932, p. 20; Lauts, 1933, p. 84; Peronato, 1933, pp. 90-91; Arslan, 1934, pp. 10, 19; Van Marle, 1935, XVII, pp. 393-394, 457; Berenson, 1936, p. 128; Jewett- Mather, 1936, p. 156; Fasolo, 1940, p. 124; Gengaro, 1944, p. 375; Tietze-Conrat, 1944, p. 160 n. 656, tav. XLII, ill.1; n. 657, tav. XLII, ill. 2; Longhi, 1946, p. 14; Pallucchini¹, in I capolavori…, 1946, p. 91, cat. 148; Pallucchini², in I capolavori…, 1946, p. 84, cat. 148; Podestà, 1946, p. 156; Pallucchini, 1947, p. 30 n. 33; Fogolari, 1949, p. 244; Magagnato¹, 1949, p. 102; Barbieri, 1952, p. 9; Burckhardt, 1952, p. 907; Coletti², 1953, p. LXXIV-LXXV; Magagnato, 1953, p. 174; Barbieri, 1954, p. 174; Valsecchi¹, 1954, p. 78; Brizio, 1955, p. 558; Arslan, 1956, pp. 5-6 n. 29, p. 12 n. 56; Barbieri-Magagnato, 1956, pp. 174, 310; Berenson, 1957, p. 68; Havercamp Begemann, 1957, p. 34; Lazareff, 1957, p. 41; Berenson, 1958, I, p. 70; De Logu, 1958, pp. 55, 237; Coletti, 1959, pp. 16, 26-29, 30, 34, 37, 42, 50, 63, 71 n. 6, 76-77; Pignatti, 1959, p. 76; Cima…, 1960, V, p. 706; Rutteri, 1960-1961, p. 83; Pallucchini, 1961, pp. 187-188; Robertson, 1961, p. 284; Ballarin Al.¹, 1962, p. 483; Barbieri, 1962, I, pp. 111-116; Del Massa, 1962, p. 1; Heinemann, 1962, p. 35; Magagnato, 1962, pp. 84-86; Mazzotti, 1962, p. 35; Menegazzi, 1962, pp. 5-6; Pallucchini, 1962, p. 221; Polo, 1962, pp. 5, 8; Puppi¹, 1962, p. 125; Puppi², 1962, pp. 12-17; Ragghianti, 1962, p. 13; Sartori, 1962, p. 275; Valsecchi, 1962, p. 16; Vertova, 1962, p. 716; Fiocco, 1963, p. 52; Francastel, 1963, p. 225; Kühnel-Kunze, 1963, pp. 30-32; Marini, 1963, p. 147; Rutteri, 1963, pp. 44-45; Magagnato, 1964, pp. 235-237; Puppi, 1964-65, p. 308; Zava Boccazzi, 1965, pp. 3, 7; Chastel, 1966, p. 254; Gilbert, 1967, p. 188; Humfrey, 1977, pp. 176-181; Humfrey, 1978, p. 92; Sinding Larsen, 1978, p. 287; Sgarbi², 1980, p. 32; Barbieri, 1981, pp. 2, 4; Menegazzi, 1981, pp. 10, 87; Menegazzi, 1981, pp. 524-525; Ballarin An., 1982, p. 78; Humfrey, 1983, pp. 4-5, 24-26, 163-164, n. 160; Lucco, 1983, p. 459; Tempestini, 1986, pp. 48-49; Lucco¹, 1987, pp. 155, 166, nn. 25, 26; Briguet, 1989, p. 663; Lucco, in Pinacoteca di Brera…, 1990, p. 311; Tanzi, 1990, II, p. 613; Gentili, 1994, pp. 71-74; Barbieri, 1995, pp. 63-64; Dal Pozzolo, 1997, p. 56; Dal Pozzolo, 1998, p. 27; Humfrey, 1998, p. 218; Humfrey, 1999, p. 1281.
Esposizioni
Venezia, 1946, p. 84, n. 148; Losanna, 1947, p. 30, cat. 33; Treviso, 1962, pp. 5-6, cat. 10; Conegliano Veneto, 2010; Parigi, 2012.