Olindo e Sofronia
Autore | Giambattista Pittoni |
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Periodo | (Venezia 1687 - 1767) |
Datazione | 1723 - 1725 |
Supporto | Tela, 114x146 |
Inventario | A 98 |
Autore della scheda | Alberto Craievich |
L'opera appartiene ad una coppia di tele.
Consultare anche Inv. A 97
Provenienti entrambe dalla ricca collezione di opere d’arte della nobile vicentina Paolina Porto Godi, le due tele giunsero in Museo nel 1831. Si è pensato per lungo tempo che Giambattista Pittoni le avesse ideate in pendant, tuttavia, ad un’attenta analisi, le due opere hanno rivelato sostanziali differenze che permettono di scartare quest’ipotesi.
Il primo dipinto, realizzato nel 1721 o nel 1722, raffigura un episodio tratto dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso (II, 33-38): l’eroina mussulmana Clorinda libera i due giovani cristiani Olindo e Sofronia che, accusati ingiustamente di furto, erano stati condannati al rogo dal re Aladino. La scena affollata di personaggi e la narrazione concitata dell’episodiosono espressione, insieme ai ripetuti giochi di chiaroscuro, di un gusto ancora tardo seicentesco, lontano dall’esuberanza di elementi decorativi, dall’eleganza e dalla leggerezza ormai già settecentesche e rococò della tela con Diana e le ninfe.
In questo secondo dipinto, di maggiori dimensioni rispetto al precedente e risalente al 1723-1725, l’artista raffigura la dea Diana che, aiutata dalle ninfe, si spoglia per bagnarsi nelle acque di un tranquillo ruscello. Relegata in secondo piano, sullo sfondo di una profonda veduta paesaggistica, compare la figura di Atteone. L’episodio mitologico costituisce una sorta di pretesto, che offre la possibilità all’artista di realizzare una composizione carica di quell’erotismo e di quella sensualità espresse dai freschi e delicati nudi femminili. La stessa Diana, infatti, non appare qui come la dea crudele che aveva tramutato in cervo il giovane cacciatore Atteone, sorpreso mentre la spiava intenta a fare il bagno, facendolo assalire e sbranare dai suoi stessi cani.
Cartellini
s.d.3 CATAL. N. 98/ GB. Pittoni/ Olindo e Sofronia; 1946 24964; 1954 illeggibile; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero Museo - Vicenza N. e con pennarello nero 79; su carta bianca, a stampa con inchiostro rosso IL SETTECENTO ITALIANO/ VENEZIA - 1929 A VII/ 000618 corretto a penna in 620; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero 98; su cartoncino marrone a penna con inchiostro nero VICENZA/ Olindo e Sofronia/ G.B. Pittoni […]; Etichetta su carta bianca, a stampa con inchiostro nero Mostra della Pittura Italiana del Seicento e Settecento - Comune di Firenze/ 1011
Provenienza
legato Paolina Porto Godi, Vicenza 1825-1831
Restauri
1910, Franco Steffanoni; 1986, Corest; 2001 Lino Sofia (cornice)
Inventari
1826: 17. Camera a mattina sopra la corte. Olindo e Sofronia. Giovanni Battista Pittoni. Lire 6; 1831: 74. Stanza detta delle Commissarie. Pittoni Giovanni Battista. Olindo, e Sofronia; [post1834]: 374. Pittoni Giovanni Battista. Olindo e Sofronia, 402; 1854: 402. Pittoni Giovanni Battista. Olindo e Sofronia; [1873]: Prima stanza a tramontana, parete opposta alle finestre. 25. Pittoni Giovanni Battista vicentino nato 1687, morto 1767. Olindo e Sofronia; 1873a: c. 4, 25. Giovanni Battista Pittoni nato 1687, morto 1767. Olindo e Sofronia; 1902: c. 23, 106 (97). 96. Olindo e Sofronia. Tela ad olio. Alto 1.15, largo 1.45. Giovanni Battista Pittoni. Non buono. Non buona. Legato contessa Carolina Porto Godi; 1907: c.11, 96 (97). Giovanni Battista Pittoni, nacque a Venezia nel 1686 o nel 1687 e vi morì nel 1767, fu allievo di suo zio Francesco Pittoni. Olindo e Sofronia. Tela 1.15x1.45. Legato contessa Carolina Porto; 1908: 97 (98). Giovanni Battista Pittoni. Olindo e Sofronia (tela, 1.15x1.45). Nel 1908 si trova nella prima stanza a sinistra. Nel 1873 si trovava nella stanza del re al n. 25. Nell’inventario a stampa del Magrini dell’anno 1855 si trova nella prima stanza a tramontana al n. 40. Nell’inventario di consegna della Pinacoteca al Museo dell’anno 1854 porta il n. 402. Pervenne alla Pinacoteca nel 1826 per legato Paolina Porto Godi col n. 17 e le indicazioni: Giovanni Battista Pittoni, Olindo e Sofronia; 1910-1912: 98 (103) esposto. Numerazione vecchia: 97 numerazione della Commissione d’inchiesta 1909; 106 catalogo 1902; 25 catalogo 1873; 40 Magrini catalogo a stampa 1855; 402 inventario di consegna 1854; 17 numerazione del legato 1826; 98 catalogo 1912; 98 catalogo 1940; 98 inventario 1950. Provenienza: legato Paolina Porto Godi. Collocazione: sala dei settecentisti veneti. Forma e incorniciatura: rettangolare. Dimensioni: alto 1.15, largo 1.45; catalogo 1912 1.15x1.45; catalogo 1940 1.75x1.45; inventario 1950 1.16x1.46. Materia e colore: tela dipinta ad olio. Conservazione e restauri: restaurato da Franco Steffanoni nel 1910. Descrizione: Olindo e Sofronia. Autore: Giovanni Battista Pittoni; catalogo 1912 Giovanni Battista Pittoni; catalogo 1940 Giovanni Battista Pittoni; inventario 1950 Giovanni Battista Pittoni. Bibliografia: Laura Pittoni, La famiglia de’ Pittoni, Venezia, 1906. Iconografia: Laura Pittoni; foto Fiorentini CN 1863.
Descrizione tecnica
L'opera appartiene ad una coppia di tele.
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Nel dipinto è raffigurato il noto episodio della Gerusalemme Liberata (II, 33-38), in cui per ordine di Aladino i due giovani vengono condannati a essere arsi vivi sul rogo. Si tratta di un tema che ha goduto di particolare fortuna all’interno dell’iconografia tassesca tra la fine del seicento e gli inizi del settecento (Torquato Tasso…, 1985) e che trova la sua rappresentazione più celebre nella grande tela di Luca Giordano di palazzo Reale a Genova (Ferrari-Scavizzi, 2000, p. 297). Lo stato di conservazione appare sostanzialmente buono.
L’opera è giunta nella Pinacoteca nel 1831, in seguito al lascito di Paolina Porto Godi assieme al dipinto raffigurante Diana e le ninfe (cat. 375 A 97) di cui è stata generalmente ritenuta il pendant. Tuttavia, fatta eccezione della provenienza comune le tele mostrano differenze significative che permettono oggi di escludere definitivamente questa possibilità (Zava Boccazzi, 1979, p. 179). Ci si riferisce in particolare alla diversità dei soggetti e alle misure difformi, cui si aggiungono alcune significative discrepanze stilistiche che permettono di escludere la contemporanea realizzazione dei due dipinti.
La tela in questione, infatti, come notato da gran parte degli studiosi a partire da Goering2 (1934), mostra esiti formali ancora piuttosto acerbi rispetto all’altro quadro, caratterizzato da un tono spiccatamente decorativo in accordo con i nuovi stilemi formali dell’arte rococò. Nel nostro caso, invece, è facile rintracciare un sapore generale ancora tardo seicentesco, ravvisabile soprattutto nella teatrale magniloquenza che caratterizza l’impaginato della composizione, a stento mitigata dalle adolescenziali fattezze dei personaggi principali. Il dipinto potrebbe infatti compendiare vent’anni di esperienze stilistiche lagunari nel campo della pittura di figura. Le immagini dei due soldati sulla destra evocano, nelle loro vigorose anatomie e nella gestualità enfatica, le grandi tele di storia dipinte ad inizio secolo da artisti come Antonio Molinari o Gregorio Lazzarini, mentre le superfici levigate degli incarnati, il modo segmentato di piegare i panneggi, quasi ‘croccanti’ nella loro compattezza, rinviano ancora una volta al classicismo barocchetto di Antonio Balestra, magari rinsanguato dallo studio delle opere di Francesco Solimena visibili a Venezia nella seconda decade del secolo, a cui farebbero pensare certi viraggi coloristici come i gialli ed i verdi aciduli delle vesti dei soldati che stanno accendendo la pira (Zava Boccazzi, 1979, p. 37). Inoltre, la composizione ancora troppo affollata e farraginosa, i risentiti chiasmi chiaroscurali - si pensi alla figura di Aladino, completamente in ombra nell’angolo sinistro della tela - hanno poco a che vedere con il fluente decorativismo, l’elegante profusione di accessori, fiori e ghirlande, proprie della tela con Diana e le Ninfe. Tuttavia sarebbe ingeneroso classificare la tela come una semplice opera di riepilogo delle esperienze precedenti. L’attenzione rivolta allo scorcio paesistico, che a fatica si fa strada all’interno della composizione, oppure le figure aguzze e nervose dei due vecchioni che confabulano in fondo alla tela, mostrano come “l’enfasi recitativa, propria dei soggetti storici dipinti nel secondo decennio, si smorza ormai in quell’inflessione patetica e sentimentalistica che diverrà normativa anche delle più drammatiche rappresentazioni pittoniane” (Zava Boccazzi, 1979, p. 179). In breve, il dipinto esemplifica una fase di transizione nella produzione dell’artista, quando Pittoni, pur essendo ancora legato allo studio dei più interessanti esempi ‘moderni’ allora visibili in città, si indirizza verso quella svolta stilistica che ne avrebbe fatto negli anni successivi un pittore “storico eccellente, bizzarro ne’ suoi vestiti e ornamenti” (Longhi, 1762). Proprio per simili indicazioni stilistiche sembra quanto mai condivisibile la tradizionale proposta di datazione attorno al 1721 (Coggiola Pittoni, 1913; Zava Boccazzi, 1979), secondo Pallucchini (1960; 1995) lievemente posticipabile all’anno successivo, comunque prima della pala vicentina di Santa Corona. In occasione della grande retrospettiva sul settecento vicentino (Schiavo2, 1990, p. 334) si è ipotizzato che l’opera potesse far parte della quadreria di Carlo Cordellina. Tuttavia, la mancanza di documentazione al riguardo ha fatto cadere una simile eventualità (Banzato, in Carlo Cordellina…, 1997, pp. 249-250).
Bibliografia
Magrini, 1855, p. 55, n. 40; Pittoni, 1907, pp. 50-52; Coggiola Pittoni, 1912, ill. 4; Ongaro, 1912, p. 50; Vignola 1912, cat. 103; Coggiola Pittoni, 1913, pp. 102-103; Fogolari, 1913, p. 227; Frizzoni, 1913, p. 191; Rumor, 1914, pp. 137-138; Bortolan-Rumor, 1919, p. 152; Coggiola Pittoni, 1921, p. 31; Nugent, 1925, pp. 148-149; Coggiola Pittoni, 1927-1928, p. 676; Fiocco2, 1929, p. 569; Moschini, 1931, p. 51; Il Settecento…, 1932, I, Tav. LVIII, 99; Coggiola Pittoni1, 1933, p. 11; Coggiola Pittoni2, 1933, p. 410; Voss, 1933, p. 120; Arslan, 1934, p. 10; Goering2, 1934, pp. 241-242; Fasolo, 1940, p. 112; Pallucchini, 1945, pp. 17-18; Lorenzetti, 1948, pp. XXXII-XXXIII; Magagnato, 1949, p. 104; Museo Civico…, 1949, p. 8; Golzio, 1950, p. 832; Barbieri3, 1953, p. 15; Magagnato, 1953, p. 179; Barbieri1, 1954, pp. 177-178; Golzio, 1955, p. 582; Barbieri-Magagnato, 1956, pp. 178-179; Gioseffi, 1956, pp. 22-23; Donzelli, 1957, pp. 192, 194; De Logu, 1958, p. 279; Pallucchini, 1960, p. 117; Barbieri1, 1962, pp. 186-187; Zava Boccazzi, 1979, pp. 179-180; Ballarin An., 1982, p. 160; Ballarin An., in Museo ritrovato…, 1986, pp. 146-147, cat. B46; Schiavo2, 1990, p. 344, cat. 6.13; Pallucchini, 1994, p. 526; Barbieri, 1995, p. 117; Contini, in El triunfo…, 1997, p. 228, cat. 69; Fossaluzza, 1997, p. 191; Torrini, 1998, p. 39; Villa, in Palazzo Chiericati…, 2004, p. 58.
Esposizioni
Firenze, 1922, p. 145, cat. 770; Venezia, 1929, p. 64, cat. 9; Vicenza, 1986, pp. 146-147, cat. B.46; Vicenza, 1990, p. 344, cat. 6.13; Madrid, 1997, p. 228, cat. 69.