Rinaldo libera la foresta dall’incantesimo

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AutorePietro Bartolomeo Cittadella
Periodo(Vicenza 1636-1704)
Datazione1690 - 1695
SupportoTela, 117,5x134,5
InventarioA 320
Autore della schedaFrancesca Lodi

In un episodio della Gerusalemme Liberata del Tasso, Rinaldo libera la foresta dall'incantesimo del mago Ismeno, così i Crociati potranno ricavare il legname per riparare le macchine belliche con cui espugnare Gerusalemme. In un’atmosfera ricca di “mostri” e “prodigi”, Rinaldo brandisce la spada per colpire il mirto, dal quale è magicamente uscita la figura di Armida a difendere il tronco. Sullo sfondo compare una seconda figura femminile, forse una ninfa degli alberi, che assiste sgomenta all'evento.

La tela appartiene all'ultima produzione del Cittadella in cui la componente “tenebrosa” si stempera nella nuova corrente veneziana del “chiarismo”.

Descrizione figurativa

Quest'opera di Pietro Bartolomeo Cittadella (1636-1704) coglie uno degli episodi più importanti della "Gerusalemme liberata" di T. Tasso: Rinaldo, liberatosi finalmente dei sortilegi con cui la maga Armida lo aveva avvinto, compiuta la giusta penitenza, affronta la selva di Saron per vincerne l'incantesimo del mago Ismeno. Resistendo a tutte le seduzioni demoniache che gli si presentano, compresa l'apparizione di Armida uscita dal tronco di mirto che egli intende abbattere, alla fine raggiunge il suo scopo: rompe l'incantesimo e procura il legname per le macchine da guerra dei crociati. Nel dipinto Rinaldo con la spada sguainata si avventa sul mirto, nonostante Armida cerchi di proteggerlo. Qui i tratti tenebrosi della sua pittura si stemperano nella nuova corrente veneziana del "chiarismo".

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Provenienza

legato Carlo Vicentini Dal Giglio, Vicenza 1834

Restauri

1996, Alda Bertoncello

Inventari

1834: 172. Cittadella Bartolomeo. Soggetto tratto dal Ricciardetto, in tela con cornice. Lire 96; [post 1834]: 171. Cittadella Bartolameo. Soggetto tratto da Rizzardetto, 177; 1854: 177. 1.35. 1.45. Bartolommeo Cittadella. Soggetto tratto dal Riciardetto; [1873]: Sala, parete delle finestre opposta a quella del principale ingresso, 25 (24). Cittadella Bartolameo fioriva nel 1680. Soggetto tratto dal Ricciardetto; 1873a: c. 1, 25. Bartolomeo Cittadella fioriva nel 1680. Soggetto tratto dal Ricciardetto; 1902: c. 6, 28 (24). 24. Venere. Tela ad olio. Alto 1.30, largo 1.37. . Non buono. Buona; 1907: c. 3, 24 (24). Ignoto. Venere. Tela, 1.30x1.37; 1908: 24 (320). Ignoto. Venere (tela, 1.30x1.37). Nel 1908 si trova in sala; 1910-1912: 320 (319). Numerazione vecchia: 24 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 28 catalogo 1902; 320 catalogo 1912; 320 catalogo 1940; 320 inventario 1950. Collocazione: salone. Forma e incorniciatura: rettangolare con cornice dorata. Dimensioni: alto m 1.30, largo 1.37; inventario 1950: 1.21x1.35. Materia e colore: tela dipinta ad olio. Descrizione: Venere; 1912 Allegoria, 1940 Allegoria, 1950 Allegoria; San Giorgio e il drago? Autore: ignoto; Cittadella Bartolomeo; catalogo 1912 Bartolomeo Cittadella; catalogo 1940 ignoto; inventario 1950 Bartolomeo Cittadella?; W. Arslan non del Cittadella.

Descrizione tecnica

Il dipinto, in cui Magrini (1855) ravvisava un soggetto tratto dal Ricciardetto (1738) di Niccolò Forteguerri e Minozzi (1902) una Venere, mentre negli inventari a partire da quello dell’Ongaro (1912) viene semplicemente registrato come Allegoria, sembrerebbe invece ispirato all’episodio della Liberata (c. XVIII, 11-40), nel quale Rinaldo libera dall’incantesimo del mago Ismeno la foresta, da cui i Crociati avrebbero tratto il legno per la ricostruzione delle macchine belliche e l’espugnazione di Gerusalemme. La scena raffigura Rinaldo, che si prepara a colpire il mirto, dal quale è uscita la magica larva con le sembianze di Armida: questa “s’abbraccia / al caro tronco”, cercando, invano, di difenderlo, mentre i “campi dell’aria” si popolano di “mostri” e “prodigi”. La figura femminile, che assiste con stupore all’evento, potrebbe rappresentare una delle ninfe figliate dagli alberi.

Un’interpretazione dell’episodio tassesco affine sotto il profilo iconografico è riscontrabile in una tavoletta in rame di Maffei custodita nel J. Paul Getty Museum di Malibu (USA) (Rossi, 1991, p. 93): come nella tela in esame, i personaggi dominano il campo, effigiati di tre quarti, in posizione chiastica: Rinaldo, da un lato, volge la spada all’indietro per vibrare il colpo, mentre, dall’altro, il “fantasma” di Armida abbraccia il tronco del mirto; sullo sfondo si intravede una figura femminile.

Nonostante la presenza di elementi minacciosi e inquietanti, la scena, imperniata sul convergere, si può pensare non casuale, dei volti dei due giovani, esprime, in sintonia del resto con lo spirito della Liberata, una vena patetica e sospirosa, anticipatrice del gusto arcadico, come è stato opportunamente rilevato (Rossi, 1968-1969; Binotto, 1981 e 1982). I colori, tra cui prevalgono le tonalità fredde, sono accordati in modo da conferire il massimo risalto alla figura femminile levigata e luminosa al centro della scena - un richiamo di Bellucci (Rossi, 1968-1969), (forse anche di Reni?) - che il manto blu circoscrive, da cui sporgono lembi di panni bianchi.

Gli studi recenti ravvisano nel dipinto l’espressione dell’ultima fase dell’attività di Bartolomeo Cittadella, in cui l’eclettico artista attenua la componente “tenebrosa” del suo linguaggio per orientarsi, “seguendo gli insegnamenti di Liberi, e, soprattutto, di Celesti, suoi colleghi nel ciclo del duomo vicentino, verso un ‘chiarismo’ di timbro profondo e pittorico” (Binotto, 1982).

Per l’affinità riscontrabile nell’impostazione e nello stile, e la coincidenza delle misure, l’opera pare costituire il pendant di un altro dipinto del Cittadella di proprietà del Museo civico vicentino, raffigurante Ercole e Onfale (cat. 319 A 660).

Bibliografia

Magrini, 1855, p. 54, n. 75; Ongaro, 1912, p. 105; Tea, 1912, p. 16; Arslan, 1934, p. 26 (Bartolomeo Cittadella; non del Cittadella); Fasolo, 1940, p. 178 (ignoto); Rossi, 1968-1969, p. 89; Binotto, 1981 (A), p. 107-108; Binotto, 1982, p. 60; S. C. M., 1998, p. 309.

Quest’opera appartiene al percorso: