Le ninfe raccolgono il corpo di Leandro

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AutoreGiulio Carpioni
Periodo(Venezia? 1613 circa - Vicenza 1678)
Datazione1676
SupportoTela, 438x285
InventarioA 679
Autore della schedaRoberto Pancheri

La grande tela giaceva -prima piegata e poi rullata- nei depositi del Museo, dove risultava inventariata con il titolo errato di “Le anime purganti”. E' stata poi confermata l'autografia del Carpioni e individuata come una delle tele del ciclo di soggetto mitologico commissionate all'artista dal nobile vicentino Giovanni Caldogno ed eseguite tra il 1676 e l’anno successivo, sulla base di un inventario del palazzo dei Caldogno a San Marcello redatto nel 1685.

Si tratta di uno dei soggetti più cari alla poetica di Carpioni, qui riproposto per l’ultima volta: con la tragica storia d’amore di Ero e Leandro l’artista si era infatti cimentato in più occasioni, creando una serie di variazioni sul registro dell’elegia. L’opera in esame è certamente tra tutte la più impegnativa, almeno sul piano delle dimensioni, e costituisce una sorta di ampliamento e sviluppo verso l’alto delle versioni di Budapest e Montecchio Maggiore.

A palazzo Caldogno essa faceva serie con altre due grandi tele di taglio verticale - oggi in collezione privata - raffiguranti rispettivamente Fineo e compagni trasformati in statue da Perseo e Liriope presenta Narciso a Tiresia. Rimangono oscure l’epoca e le circostanze che condussero alla dispersione del ciclo, mentre l’edificio che lo ospitava venne completamente distrutto dai bombardamenti alleati nel 1945.

Oltre al corpo dell’amante sfortunato e alle ninfe del mare, nelle acque dell’Ellesponto compaiono anche Nettuno con un cavallo marino e un delfino con un putto sulla groppa. Nella parte superiore, la personificazione dell'Aurora alata accompagna altri putti che gettano rose dall’alto delle nubi, che dileguano dopo la tempesta lasciando intravedere la mesta torre di Ero.

Descrizione figurativa

Questa tela dalle dimensioni notevoli, opera di Giulio Carpioni, riprende uno dei miti più conosciuti fin dai tempi del poeta romano del primo secolo a.C. Ovidio, secondo cui Leandro che viveva ad Abido in Asia Minore raggiungeva ogni notte l'amata Ero, sacerdotessa di Afrodite che abitava a Sesto in Grecia, attraversando a nuoto lo Stretto dei Dardanelli, in ciò guidato da una lucerna posta su una torre. Una notte, a causa di una violenta bufera, la lucerna si spense e Leandro, disorientato, annegò. Ero, quando al mattino scoprì il cadavere dell'amato, si suicidò gettandosi da una torre. In questo quadro le ninfe marine piangono sul corpo del giovane, mentre dalle acque emergono Nettuno su un cavallo marino ed un putto in groppa ad un delfino; altri putti gettano rose da un cielo albeggiante. Capolavoro che unisce un attento disegno a delicate stesure coloristiche.

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Provenienza

Vicenza, palazzo Caldogno; registrato dal 1950

Restauri

1998, Walter Piovan

Inventari

1910-1912: 679, aggiunta 1954. Numerazione vecchia: 679 inventario 1950. Forma e incorniciatura: rettangolare. Dimensioni: 4.30x2.90. Materia e colore: tela ad olio. Conservazione e restauri: tela arrotolata e malconcia. Descrizione: Le anime purganti. Autore: 1950 Giulio Carpioni?

Descrizione tecnica

La grande tela giaceva rullata nei depositi del Museo, dove risulta inventariata con il titolo errato di “Le anime purganti” e un’attribuzione dubitativa a Giulio Carpioni. Fu riconosciuta come autografa da Pilo, il quale ne precisò il soggetto e la provenienza da palazzo Caldogno, osservando che “si accompagnava con le due mitologie ora in palazzo Negri-De Salvi-Casarotti”. Più recentemente Federica Morello ne ha confermato l’appartenenza al ciclo di tele di soggetto mitologico commissionate a Carpioni dal nobile vicentino Giovanni Caldogno ed eseguite dall’artista tra il 1676 e l’anno successivo, sulla base di un inventario del palazzo dei Caldogno a San Marcello redatto nel 1685. Il documento, conservato all’Archivio di Stato di Vicenza (ASVi, Fondo Caldogno-Curti, b. 46), fornisce la seguente descrizione: “Alla parte dell’altra camera, che guarda verso la corte, vi è un quadro grande, che sopra vi è dipinto Leandro morto, con molte Pieridi, che lo portano et altre figure in aria, con soaza come sopra”. L’estensore dell’inventario, il notaio Virginio Mainenti, confuse evidentemente le Najadi con le Pieridi, le quali nulla hanno a che vedere con il mito di Leandro.

Si tratta di uno dei soggetti più cari alla poetica di Carpioni, qui riproposto per l’ultima volta: con la tragica storia d’amore di Ero e Leandro l’artista si era infatti cimentato in più occasioni (Pilo1, 1961, pp. 89-90, 92-93, 97, 103, 105, 116, ill. 72, 101, 102, 105, 172), creando una serie di variazioni sul registro dell’elegia in cui anche la critica meno indulgente ha ravvisato i migliori risultati della sua pittura e “la parola più alta e sincera da lui pronunciata” (Barbieri2, 1962, p. 207). L’opera in esame è certamente tra tutte la più impegnativa, almeno sul piano delle dimensioni, e costituisce una sorta di ampliamento e sviluppo verso l’alto delle versioni di Budapest e Montecchio Maggiore. A palazzo Caldogno essa faceva serie con altre due grandi tele di taglio verticale - oggi in collezione privata - raffiguranti rispettivamente Fineo e compagni trasformati in statue da Perseo e Liriope presenta Narciso a Tiresia (Morello, 1999). Rimangono oscure l’epoca e le circostanze che condussero alla dispersione del ciclo, mentre l’edificio che lo ospitava venne completamente distrutto dai bombardamenti alleati nel 1945 (Cevese, 1958, p. 207).

Oltre al corpo dell’amante sfortunato e alle ninfe del mare, nelle acque dell’Ellesponto compaiono anche Nettuno con un cavallo marino e un delfino con un putto sulla groppa. Altri putti alati gettano rose dall’alto delle nubi, che dileguano dopo la tempesta lasciando intravedere la mesta torre di Ero.

Bibliografia

Pilo1, 1961, pp. 122-123; Morello, 1999, pp. 168, 171, 173, 177.

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