Le quattro età dell’uomo

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AutoreAntoon van Dyck
Periodo(Anversa 1599 - Londra 1641)
Datazione1625 -1627
SupportoTela, 115,5x167,7
InventarioA 288
Autore della schedaCaterina Limentani Virdis, Gianluca Poldi, Ilaria Mascheroni, Laura Pasetti

Antoon van Dyck, pittore fiammingo formatosi nella bottega di Pieter Paul Rubens, dipinse questa tela durante un suo lungo soggiorno in Italia, quando da Venezia si spostò a Mantova ospitato presso la corte dei Gonzaga. È ancora presente in questo capolavoro, opera di un artista ormai maturo e pienamente affermato, la lezione del maestro Rubens, evidente soprattutto nella resa delle figure e nei loro incarnati. La pennellata sobria e l’attenzione alla modulazione degli effetti di luce, tuttavia, spiccano quali tratti distintivi del linguaggio di Van Dyck, influenzato dalla pittura veneziana e in particolare da Tiziano.

Il soggetto del dipinto è facilmente riconoscibile: il bambino dormiente simboleggia l’infanzia, mentre la maturità e la giovinezza sono rappresentate da un vigoroso uomo armato e da una giovane donna che si rivolge a lui porgendo con gesto seducente delle rose; l’uomo curvo e canuto alle loro spalle è simbolo invece della vecchiaia.

L’opera è costruita secondo un moto ellittico che dal candore del corpo del bambino, abbandonato nel sonno, prosegue lungo il braccio della donna fino al suo volto. Uno sguardo intenso e trepidante unisce i due giovani, mentre l’uomo, con gesto sicuro, tocca il braccio dell’amata. Il vecchio in lontananza, puntando il dito verso il basso in direzione del bambino, sembra chiudere idealmente il percorso. Questo andamento circolare, vuole esprimere l’abbandono dell’uomo all’inesorabile scorrere del tempo.

È possibile tuttavia leggere il dipinto anche in chiave mitologica, individuando nei due giovani gli amanti Marte e Venere, nel bambino un Cupido dormiente, mentre il vecchio dall’espressione cupa e severa potrebbe alludere a Vulcano tradito dalla giovane moglie.

Descrizione figurativa

Questo dipinto è opera di Antoon Van Dyck, famoso pittore fiammingo, allievo del grande Rubens. Rappresenta in primo piano un roseo e paffuto bambino dormiente, vegliato alla sua destra da una tenera fanciulla che con sguardo innamorato offre delle rose ad un vigoroso guerriero, la cui corazza lampeggia di luce riflessa. Questi, mentre ricambia lo sgurdo intenso della fanciulla, sembra proteggere alle spalle il bambino addormentato quasi sulle sue ginocchia. All'estrema sinistra del dipinto emerge la figura di un vecchio dalla folta barba bianca, che punta il dito a voler indicare il bambino, venendo così a chiudere il cerchio immaginario delle diverse età dell'uomo, rappresentate dall'infante, dalla giovinezza della fanciulla, dalla maturità del guerriero e dalla vecchiaia dell'anziano curvo e canuto; il tutto in un moto circolare che sembra ripetersi all'infinito, come lo scorrere della vita dell'umanità.

Descrizione audio

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Cartellini

s.d.3 Cat. 288/ Ant. Van Dyck/ Le età […]; 1946 24935; 1949-1950 N. 288/ Antonio van Dyck/ Le Quattro Età dell’Uomo/ tela cm. 118x164; 1954 8080; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero MUSEO CIVICO/ VICENZA e a penna con inchiostro nero A VAN DYK/ LE ETÁ DELL’UOMO/ Proprietà del Museo Civico/ di Vicenza; sul retro della cornice, con pennarello ad inchiostro blu ETÁ DEL HOMO. Etichetta su carta bianca, a stampa con inchiostro nero CAT: OLIO/ ARTIST: DYCK, ANTONY VAN/ TITLE: The Age of Man/ LENDER: Museo Civico - Palazzo Chiericati, Vicenza/ “THE AGE OF RUBENS”/ Museum of Fine Arts - Boston/ Sept. 22, 1993 - Jan. 2, 1994/ The Toledo Museum of Art/ Feb. 2 - April 24, 1994

Provenienza

Carlo II Gonzaga, Mantova 1665; Ferdinando Carlo Giuseppe Gonzaga, Mantova 1709; Giovanni Paolo Marzari, Vicenza o Venezia? 1754; legato Paolina Porto Godi, Vicenza 1825-1831

Restauri

1946, Antonio Lazzarin; 1985, Corest; 2001, Lino Sofia (cornice)

Inventari

1826: 22. Camera a mattina sopra il corso. Le quattro età dell’uomo. Antonio van Dych. Lire 285; 1831: 71. Stanza detta delle Commissarie. wan Dik. Le quattro età dell’uomo. Galleria Porto, n. 4321 del 1826, 22; [post1834]: 50. Van Dick o Rubens. Le quattro età dell’uomo, 142; 1854: 142. 1.45 1.95. Van Dich o Rubens. Le quattro età dell’uomo; [1873]: Stanza di Pio VI, parete a destra dello ingresso, 6. Antonio van Dick nato 1599, morto 1641. Le quattro età dell’uomo; 1873a: c. 4, 6. Antonio van Dik nato 1599, morto 1641. Le quattro età dell’uomo; 1902: c. 17, 75 (69). 67. Le quattro età dell’uomo. Tela ad olio. Alto 1.20, largo 1.65. Antonio van Dik. Un po’ scrostato. Deperita. Legato contessa Paolina Porto 1825; 1907: c. 8, 67 (69). Antonio van Dyck nato in Anversa il 22 marzo 1599, morì a Blackfrians (Londra) il 9 dicembre 1641, fu allievo di Enrico van Balen e poscia del Rubens. Le quattro età dell’uomo. Tela, 1.20x1.65. Legato contessa Paolina Porto 1825; 1908: 69 (288). Antonio van Dyck, Le quattro età dell’uomo (tela, 1.20x1.65). Nel 1908 si trova nella prima stanza a sinistra. Nel 1873 si trovava nella stanza del re al n. 6. Nel catalogo a stampa del Magrini dell’anno 1855 porta il n. 9 della prima stanza a tramontana e l’attribuzione: Rubens. Nell’inventario di consegna della Pinacoteca al Museo dell’anno 1854 porta il n. 142 e le indicazioni: wan Dyck o Rubens, Le quattro età dell’uomo, 1.45x1.95. Pervenne alla Pinacoteca nel 1826 per legato Paolina Porto Godi col n. 22 e le indicazioni: Antonio wan Dick, Le quattro età dell’uomo; 1910-1912: 288. Numerazione vecchia: 69 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 75 catalogo 1902; 6 catalogo 1873; 9 Magrini catalogo a stampa 1855; 142 inventario di consegna 1854; 22 n. del legato; 288 catalogo 1912; 288 catalogo 1940; 288 inventario 1950. Provenienza: legato Paolina Porto Godi 1826. Collocazione: sala degli stranieri. Forma e incorniciatura: rettangolare con cornice dorata. Dimensioni: m 1.20x1.65; inventario 1950 1.8x1.64. Materia e colore: tela ad olio. Descrizione: Le tre età dell’uomo. Autore: Antonio van Dyck; catalogo 1912 Antonio van Dych; catalogo 1940 Antonio van Dych; inventario 1950 Antonio van Dych; W. Arslan Antonio van Dych.

Descrizione tecnica

Il dipinto è citato per la prima volta il 10 novembre 1665 a Mantova come “le quattro età del van Dic”, nell’inventario della collezione di Carlo II Gonzaga (1629-1665), forse proveniente da Genova per intermediazione di agenti come Salvatore e Giovanni Benedetto Castiglione, che acquistò nella città ligure la collezione di Vincenzo Imperiale e molti altri quadri, fra i quali sono nominati alcuni van Dyck (D’Arco, II, 1857, p. 184). Successivamente il quadro compare in un inventario mantovano del 1700 “Uno … del van Dic dipintevi le quattro età dell’uomo”, oltre che in quello del 1709 compilato dopo la morte dell’ultimo duca di Mantova, Ferdinando Carlo Giuseppe (avvenuta nel 1708) “Tre figure con putin che dorme di van Dic”, e infine nell’elenco dei quadri stilato nel 1711 dai pittori Sebastiano Ricci e Niccolò Cassana in occasione della vendita della stessa collezione ducale presso il palazzo di Santa Sofia in Padova “an other picture of van Dyck representing an armed man, a sleeping child and a young girl holding some roses and an old man” (Raccolte…, IV, 1976, p. 72; Limentani Virdis, 1980, pp. 585-586; Limentani Virdis, 1986, pp. 172-174). Il quadro compare più tardi, stimato ben 900 ducati, nell’elenco dei dipinti di proprietà del conte vicentino Giovanni Paolo Marzari, deceduto a Venezia nel 1754, compilato da altri due pittori, Davide Antonio Fossati e Giuseppe Nogari (Rigoni1, 1997, p. 145). Di qui pervenne con tutta probabilità nella raccolta Porto Godi e successivamente al Museo (Inventario…, 1831, ms. c. 2).

Sull’autografia del dipinto nessun dubbio è stato mai espresso, né dai compilatori degli inventari, né dalla bibliografia; per quanto attiene al soggetto, va invece rilevato che la titolazione attuale, “le tre età dell’uomo”, contrasta con le segnalazioni più antiche (che quando hanno azzardato la definizione di un soggetto, hanno proposto le quattro età dell’uomo) e interpreta le descrizioni presenti nell’inventario del 1709 e in quello del 1711, che si riducono a una semplice elencazione di figure. Il titolo attuale, inoltre, trova sostegno nella proposta che ha indicato come modello pressoché esclusivo del dipinto un quadro di Tiziano dello stesso soggetto, attualmente conservato alla National Gallery di Edimburgo e un tempo nella collezione Aldobrandini a Roma, nel quale l’età di mezzo va individuata nella coppia, proposta che ha trovato enorme fortuna nella critica fino ai giorni nostri (Glück, 1931, p. XXXVI; van Puyvelde, 1955, p. 109; Larsen 1980, I, p. 116, cat. 434; Barnes, in Anthony Van Dyck, 1990, p. 188, cat. 41; Barnes in Van Dyck…, 1997, pp. 314-315). Questa coppia è stata individuata come Venere e Marte, oltre che da chi scrive (1980, p. 175), da Stewart (1990, pp. 70-71) e da Sutton (in The Age…, 1993, p. 97) che vi vedono un’allusione alla dialettica guerra/pace. A dire il vero l’intensità degli sguardi e la seduttiva offerta delle rose, in questo quadro di Vicenza, sembrano rimandare nettamente al languore del colloquio amoroso del dipinto tizianesco. E a Tiziano, come è stato da tempo notato, fa riferimento anche l’iconografia del bimbo dormiente, fissata da van Dyck nel suo libro di schizzi (Brown, 1982, pp. 96-97). Non bisogna peraltro dimenticare che fin dal 1908 Justi citava la descrizione di un quadro perduto di Giorgione, la Vita Humana, un tempo nella collezione Cassinelli di Genova, annotato da Ridolfi, nel quale le età dell’uomo sarebbero state rappresentate da un lattante, da un giovane in conversazione con altri dotti, da un uomo in armi e da un vecchio che contempla un teschio (Justi, 1908, I, p. 358). E va ricordato che il nesso Giorgione-Tiziano offre per il soggetto delle tre età dell’uomo un ventaglio di soluzioni di impareggiabile qualità, dai Tre filosofi di Vienna, al Concerto Pitti, all’Allegoriadella Prudenza di Londra. Sappiamo inoltre che le tre età, corrispondenti ai tre corni di una figura straordinariamente emblematica come il triangolo, sono generalmente connesse ai tre modi del tempo (passato, presente, futuro) e alle tre facoltà intellettuali di memoria, giudizio, previsione. (Panofsky, 1955 [1962], pp. 147-168). La testimonianza del Ridolfi attesta però la tradizione della rappresentazione delle quattro età dell’uomo presso Giorgione e spiega anche come i compilatori degli antichi inventari non abbiano avuto esitazioni nell’individuare il soggetto. Le quattro età corrispondono a una codificazione del numero quattro come indicatore dell’intero, risalente al valore geometrico di completezza onnicomprensiva del quadrato, che infatti contiene sia il cerchio che il triangolo. Quattro sono pertanto gli angoli della terra, le parti del mondo, e le età dell’uomo in connessione con le parti del giorno, le stagioni e i temperamenti. La numerazione di quattro età, in luogo di tre, è prevalente nella tradizione nordica e non per caso Luytens fin dal 1986 indicava il rapporto fra il quadro in esame e una serie di stampe fiamminghe dovute a un artista attivo nella stamperia di Hieronymus Cock, eseguite verso il 1560 (Luytens, in Kunst…, 1986, p. 335, cat. 206) nelle quali le età dell’uomo (che mi sembrano del tutto corrispondenti a rappresentazioni di Cupido, Venere, Marte e Saturno), sono identificate con le stagioni.

È possibile che un quadro di Guercino, dal titolo tradizionale Venere, Marte, Amore e il Tempo, databile verso il 1624, ora a Dunham Massey, Altrincham e segnalato nella collezione inglese Stanford fin dal settecento, sia il vero modello dipinto di van Dyck (Limentani Virdis, 1997, pp. 18-20): il pittore fiammingo, che compose il suo quadro fra il 1625 e il 1627, potrebbe avere visto a Genova questa invenzione. Va anche ricordata una buona copia del quadro di Guercino battuta all’asta nel 1980 (Christie’s, London, Friday 31 october 1980, n. 90, 118,7x148 cm, assegnata a B. Gennari) che porta a sua volta come titolo Venus Time, Mars with Cupid. Questo titolo non tiene conto dell’eventualità che nel quadro siano rappresentate le quattro età dell’uomo, tuttavia non è impossibile, seguendo le indicazioni delle scritte presenti nelle stampe fiamminghe cinquecentesche di cui abbiamo detto (Luytens, in Kunst…, 1986, p. 326, cat. 206) procedere a una rete di identificazioni così articolata: Amor-ver-puer; Venus-aestas-juvenis; Mars-autumnus-maturus; Saturnus-hiems-senex. È ora chiaro che non solo il soggetto, ma anche l’iconografia del quadro di Guercino ritorna nel quadro vandyckiano oggi a Vicenza, nel quale sono presenti gli stessi personaggi, il vecchio e il maturo compiono gesti del tutto analoghi e persino un dettaglio centrale, come quello della rete (attributo di Saturno-Cronos), tratteggiata nel quadro inglese, trova riscontro nella ragnatela di luce della corazza del Marte di van Dyck. Inoltre, quasi a mimare il formato ovale del quadro di Guercino, il dipinto di van Dyck si dipana lungo un percorso ellittico che dal chiarore tenero del bimbo dormiente, risalendo lungo il tracciato delle rose per il braccio della donna e per il suo viso, fino agli occhi, si congiunge, mediante l’intensità dello sguardo, con quelli dell’uomo armato, per scivolare sul vecchio curvo, il cui indice punta verso il basso, chiudendosi idealmente in direzione del putto. Questo ritmo circolare, così insistito, potrebbe infine alludere all’abbandono dell’uomo al perpetuo fluire del tempo, presente nella teoria neostoica, che secondo Douglas Stewart orienterebbe alcune delle scelte tematiche e formali del maestro fiammingo (Stewart, 1983, pp. 57-58).

Lo studio di questo dipinto, così come delle altre due opere analizzate nel presente catalogo, è stato condotto mediante analisi XRF e spettrofotometrica, metodi completamente non invasivi e complementari, in grado di fornire informazioni sui pigmenti presenti nelle zone indagate (per una disamina di queste metodologie di indagine e per le modalità di presentazione dei dati delle analisi eseguite in questa campagna di misure sulle opere di van Dyck, Cairo e Tiepolo, si veda la Sezione scientifica del primo tomo di questo catalogo). Nel presente caso si è adoperata la medesima strumentazione XRF utilizzata per le indagini presenti nel primo tomo, con un filtro di rame e cobalto invece che di solo rame, e un diverso apparecchio per la spettrometria in riflettanza, ossia uno spettrofotometro portatile Minolta CM-2600d, in grado di operare in una banda spettrale compresa tra 360 e 740 nanometri, con risoluzione spettrale di 10 nm, area di misura di 3 mm di diametro, sfera integratrice interna (raggio 26 mm) e geometria di riflettanza d/8 (illuminazione diffusa/osservatore 8 gradi), acquisizione simultanea della componente speculare della radiazione inclusa (SCI) o esclusa (SCE), illuminazione con tre lampade interne allo xenon pulsate ad alta intensità. Poiché tale spettrofotometro permette di effettuare, contestualmente, anche misure colorimetriche, per ogni punto di misura si sono raccolti anche i dati di colorimetria, non riportati nella seguente scheda. Si rende così possibile conoscere e fissare quantitativamente e in modo univoco lo stato dell’arte del colore, come pure documentare e quantificare sotto il profilo cromatico l’effetto di eventuali successivi interventi di pulitura sull’opera, e gli effetti sul colore causati dall’invecchiamento della pellicola pittorica, da patine di sporco e altri fenomeni di alterazione.

Mentre nel caso di stesure tipiche del Trecento e del Quattrocento l’uso congiunto di queste tecniche permette di restituire una plausibile stratigrafia, con l’impiego, dal cinquecento, di stesure complesse, ricche di pigmenti diversi, dove non si adopera in genere un solo pigmento per strato pittorico e non lo si mescola con la sola biacca, non è possibile se non difficilmente selezionare i pigmenti dei diversi strati (eventuali), fatto salvo l’individuazione di elementi appartenenti alla preparazione, che ragionevolmente compaiono in ogni punto di misura.

Nel caso delle Quattro età dell’uomo la presenza di mercurio e piombo in ogni punto di misura porta a concludere esistano strati preparatori eseguiti con cinabro e biacca. Unitamente a questi pigmenti l’esistenza di calcio, riscontrata in traccia in alcune delle zone studiate, lascia ipotizzare una prima preparazione della tela a gesso, o anidrite o carbonato di calcio come d’uso oltralpe, mentre pare meno probabile che cinabro a biacca vi siano stati stemperati, semmai sovrapposti (imprimitura). Dagli studi sui materiali e sulle modalità esecutive più ampi disponibili su van Dyck, dei quali dà conto il numero 20 del National Gallery Technical Bullettin(Painting…, 1999), si apprende che la prima preparazione è in genere a carbonato di calcio, talvolta mescolato con pigmenti bruni, sovente rivestita da uno o due strati di imprimitura contenenti in genere nerofumo o ocre, diluiti in olio. Non si può escludere la presenza di parti di terra nella preparazione, data l’esistenza di ferro in traccia in molti punti di misura, tra cui alcuni in cui la terra (o ocra) non serve a conferire la tonalità finale, com’è il caso del cielo, realizzato a smalto e biacca pare direttamente sul fondo. Proprio lo smagrimento subito dallo strato azzurro del cielo lascia trasparire la preparazione bruna, il cui spettro di riflettanza, sommandosi con quello dello smaltino, ne rende illeggibile il primo picco (a 500 nm), tanto che il riconoscimento risulta affidato agli altri due picchi (565 e 620 nm), di norma meno intensi. Ulteriore motivo della scomparsa del primo massimo dello smalto può essere un processo di decolorazione cui questo pigmento tende nel corso dei secoli, come si è riscontrato nel cielo dei Tre fanciulli della famiglia De Franchi (anche noto come I bambini Balbi) e in parte del Ritratto equestre di Carlo I, conservati a Londra.

Assai mirato appare l’uso delle terre (ocra rossa e gialla?) negli incarnati, assenti nelle carnagioni più chiare, come quelle della giovane e del bambino, realizzate unicamente con biacca e cinabro, presenti invece a conferire il tono bruno dei due uomini. Una disamina dei rapporti tra mercurio e piombo – si ricorda che l’analisi XRF su dipinti non ha valore quantitativo, ossia i dati numerici forniti non sono correlabili con le concentrazioni degli elementi presenti e quindi dei relativi pigmenti – calcolati in punti ove entrambi sono attribuibili solo alla preparazione (non quindi in incarnati e in campiture rosse), fornisce un valore di circa 1:16, permettendo di riconoscere i campioni in cui si ha un uso maggiore di cinabro, come è il caso delle carni della donna e del bambino.

I verdi impiegati sono a base di rame, in particolare la veste della donna, come pure il panno in primo piano, potrebbe essere ottenuta con l’uso congiunto di pigmenti azzurri e verdi, che ne giustificherebbe il peculiare aspetto cangiante. Una tonalità simile di verde è quella del drappo fissato alla colonna de Tre fanciulli della famiglia De Franchi (1625-1627 circa), dipinto a Genova, in cui un sottile strato di azzurrite dal tono verde-azzurro è steso sopra un azzurro pallido di indaco e biacca.

I rossi sono a base di cinabro, in particolare il manto del giovane è realizzato con cinabro, probabilmente mescolato con lacca, dal momento che si rilevano congiuntamente mercurio (abbondante: il rapporto mercurio-piombo è qui 1:2,5) e una firma spettrale analoga alla lacca carminio (costituita da elementi leggeri, non rilevabili mediante XRF) anche nelle parti in luce, ulteriormente velato con lacca carminio nelle ombre. Il manto rosso bruno della donna presenta in proporzione meno cinabro (rapporto mercurio-piombo 1:6) e un uso massiccio di lacca dal tono vinoso.

Il giallo delle bordure del cuscino su cui riposa il bambino è realizzato con ocra gialla, contenente ferro.

Di terre sono i bruni, come il manto del vecchio, forse ottenuti con terra di Siena (chiara) e terra bruciata per le ombre.

La maggiore abbondanza di calcio nel nero dell’armatura è riconducibile all’impiego di un nero d’avorio.

Bibliografia

Magrini, 1855, p. 54, n. 9 (Rubens); D’Arco, 1857, II, pp. 184-186; Justi, 1908, I, p. 358; Schaeffer, 1909, p. 58; Ongaro, 1912, p. 99; Frizzoni, 1913, p. 193; Woermann, 1915-1922, V, p. 261; Justi, 1924, p. 282; Glück, 1931, pp. XXXVI, 146, ill. 535; Glück, 1933, p. 286; Arslan, 1934, pp. 13, 25, ill. 39; Hetzer, 1935, p. 229; Justi, 1936, II, pp. 282-285, tav. 5; Sterling, 1939, p. 62; Fasolo, 1940, pp. 168-169; Pallucchini1, in I capolavori…, 1946, p. 154, cat. 277; Pallucchini2, in I capolavori…, 1946, pp.172-173, cat. 277; Podestà, 1947, p. 55, ill. a p. 62; Dalla Pozza, 1949, p. 7; Cento opere…, 1955, p. 37, cat. 49; van Puyvelde, 1955, p. 109; Millar, 1955, p. 314; Barbieri1, 1962, pp. 246-248; Raccolte..., 1976, IV, pp. 47, 59, 71-72; Larsen, 1980, I, p. **, n. 434; Limentani Virdis, 1980, pp. 583-588; Ballarin An., 1982, p. 143; Brown, 1982, p. 97, ill. 86; Stewart, 1983, pp. 60-61, ill. p. 5; Ballarin An., in Museo ritrovato…, 1986, pp. 137-138, cat. B33, ill. p. 177; Barnes, 1986, I, pp. 184-185, n. 18; II, ill. 83; Limentani Virdis, 1986, pp. 172-174, ill. 1; Luyten, in Kunst…, 1986, p. 326, cat. 206; Larsen, 1988, I, p. 230, n. 475, ill. 187; Limentani Virdis, in Fiamminghi…,1990, p. 186, cat. 78; Barnes, in Anthony Van Dyck…, 1990, p. 188, cat. 41; Stewart, 1990, pp. 69-74; Joannides, 1991, p. 377, nota 13, ill. 3; Sutton, in The Age…,1993, p. 97, cat. 40; Barbieri, 1995, p. 91; Barnes, in Van Dyck…, 1997, pp. 314-315, cat. 64; Limentani Virdis, 1997, pp. 18-20, ill. 19; Rigoni, 1997, p. 145; Brown, in Van Dyck…, 1999, pp. 174-175, cat. 36; Villa, in Palazzo Chiericati…, 2004, pp. 10-11.

Esposizioni

Venezia, 1946, p. 154, cat. 227, ill. p. 177; Genova, 1955, cat. 49; Genova, 1979, cat. **; Vicenza, 1986, pp. 137-138, cat. B33; Padova 1990, p. 186, cat. 78; Washington 1990, cat. 41; Francoforte, 1992, pp. ***, cat. **; Boston 1993, p. 97, cat. 40; Genova 1997, pp. 314-315, cat. 64; Anversa 1999, pp. 174-175, cat. 36.

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