Sacra Famiglia con i santi Giovannino ed Elisabetta in un paesaggio
Autore | Benvenuto Tisi detto Garofalo |
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Periodo | (Ferrara 1476 circa - 6 settembre 1559) |
Supporto | Tavola, 31,5x27 |
Inventario | A 1296 |
Autore della scheda | Giovanni Carlo Federico Villa |
In un terso paesaggio campestre, chiuso a sinistra da una quinta arborea su cui staglia la figura stante di Giuseppe, la Madonna appare elegantemente assisa sul bordo di una pietra, memoria sepolcrale, reggendo su di una gamba il Bambino cui si rivolge un vivace Giovannino - la sinistra puntellata da un'alta e semplice croce astile, la destra a porgere il cardellino della Passione, trattenuto dall'anziana Elisabetta quasi inginocchiata e in scala minore. Sullo sfondo, al di là di un corso d'acqua punteggiato da argini lignei e approdi, borghi turriti anticipano lontane vette e, sul declivio, nuovamente la Sacra Famiglia: sull'asino la Madre con il Figlio in braccio seguiti a piedi da Giuseppe. La tavoletta connotandosi quale commistione tra l'iconografia della fuga in Egitto e quella del riposo durante la stessa, declinate nel prezioso formato devozionale destinato alla committenza privata. Temi qui esaltati da uno stato di conservazione tale da consentire ancora di apprezzare la vasta gamma cromatica della felice invenzione, mirabile in particolare il trascoloramento violaceo della fodera del manto della Vergine, attentamente trapuntata in oro e ricca dei riverberi della veste rossa e del velo giallolino, L'opera, acquistata all'asta 4805 di Christie's a Londra nel 1992 dal marchese Giuseppe Roi - a ricordo degli spensierati anni di studio trascorsi presso l'Ateneo ferrarese - fu portata definitivamente all'attenzione degli studi nel 1894, quando fu esposta alla mostra Works of the School of Ferrara-Bologna, 1440-1540 del Burlington Fine Arts Club di Londra ove era presentata con l'attribuzione a Giovan Battista Benvenuti detto l'Ortolano (Ferrara ante 1487 - post 1527). Nel catalogo che accompagnava l'esposizione Venturi e Benson (1894) la consideravano infatti "di un pittore più grande del convenzionale Garofalo, cui è stato finora attribuito" - il riferimento era a uno scritto di Waagen che, nel 1854, ne trattò difendendola semplicemente "a genuine and pleasing picture" quando si trovava nella collezione del poeta Samuel Rogers - aggiungendo come fosse "della stessa mano dell'Adorazione dei Magi della Galleria di Berlino. Ricordi del Mazzolino nel S. Giuseppe". Una linea immediatamente seguita da Gruyer (1897), Jacobsen (1900), Reinach (1910) e giunta fino a Frabetti (1966) che ancora osservava, nell'ormai superato studio monografico sull'Ortolano, il fresco nitore" del dipinto riportando poi una comunicazione scritta, del 1955, di Bernard Berenson a Evelyn L. Joll: "I venture to suggest that the Garofalo is more likely to be by the rare and more attractive Ortolano". Uno spunto da cui partiva per confermare l'opera a Ortolano alla luce di un "diverso modo di trattare figure e paesaggio" rispetto a Garofalo.
Ma sarà proprio Berenson, nell'edizione riveduta e data alle stampe nel 1968 dei North Italian Painteres of the Renaissance a tornare all'attribuzione di Waagen, poi seguito da Fioravanti Baraldi (1993) e Alessandro Ballarin (comunicazione scritta in data 25 febbraio 1994, archivio Fondazione Giuseppe Roi). Tutti sottolineando l'affinità con l'Adorazione dei Magi della Gemäldegalerie di Berlino (olio su tavola, 70x81 cm. , inv. 261) ora definitivamente catalogata come opera certa del Garofalo e utile anche a circoscriverne la cronologia, da assestarsi dopo il dipinto di Berlino e in sequenza con l'Adorazione dei pastori (olio su tavola, 57x39 cm, Strasburgo, Musée des Beaux-Arts, inv. 274) e l'Adorazione dei Magi di Cracovia (olio su tela, 73,5x58 cm, Cracovia, Muzeum Narodowe, inv. XII 205): un insieme di testi caratterizzato da un'attenzione naturalistica e un cromatismo di chiara matrice veneta, esito ultimo delle meditazioni sul sul tardo Bellini di Giorgione e della sua cerchia evidente nella timbrica modulata che prova ad addolcire un segno grafico ben distinto, quasi calligrafico e miniaturistico. Così la tavola Roi si inserisce in un preciso contesto di produzione di Garofalo, ancora memore degli esordi avvenuti sul finire del 1497 nella bottega ferrarese di Boccaccio Boccaccino, dopo l'ipotizzabile apprendistato presso Domenico Panetti. Attento così a definire pitture di grande raffinatezza esecutiva nella regia tonale luministica in un clima di sostanziale malinconia atmosferica mediata da certa cultura umbra giunta in area emiliana e veneta al chiudersi del Quattrocento con le opere e i transiti di Perugino, in quelle suggestioni protoclassiche sviluppate in paralleo con Lorenzo Costa che daranno vita a una poetica che mira alla fusione dell'arte di Roma e Venezia. Di cui quest'opera è felice esempio da collocarsi poco dopo l'incontro diretto con Giorgione e la sua pittura, avvenuto plausibilmente a Venezia nel 1508 e di cui già dava notizia Vasari nella digressione ecncomiastica sul sodale Garofalo: "Fu Benvenuto persona molto da bene, burlevole, dolce nella conversazione e paziente e quieto in tutte le sue avversità [...]. Fu amico di Giorgione da Castel Franco pittore, di Tiziano da Cador e di Giulio Romano, et in generale affezionatissimo a tutti gli uomini dell'arte, et io ne posso far fede, il quale due volte ch'io fui al suo tempo a Ferrara, ricevei da lui infinite amorevolezze e cortesie" (Vasari, 1568, VI, p. 468).
Una tavola eseguita proprio sul crinale che precede la stroncatura longhiana, lo storico albese indicando nella sua Officina come "Dopo il 1515 la bilancia del Garofalo traboccò invincibilmente sul lato degli elementi formali, peggio ancora formalistici" (Longhi 1934), in un ridimensionamento figlio anche dell'ampio arco di carriera dell'artista ferrarese: dall'esordio tardoquattrocentesco all'approdo alla metà del secolo - attivo fino al soravvivere nel 1550 della completa cecità, dopo che l'occhio destro aveva perduto nel 1531 - avendo conosciuto e assimilita le grandi rivoluzioni artistiche del tempo, su tutte la stagione di Dosso Dossi. Coniugandole in un'arte inidissolubilmente legata alla dinastia estense cui anche la parabola umana sarà prossima, morendo Garofalo nel 1559, anno della pace di Cateau-Cambrésis e dell'avvio dell'infausto destino del ducato di Alfonso II d'Este.
Iscrizioni
sul retro, note manoscritte 2 / 6, GAROFALO, 79/13, 6, MG127
Provenienza
Londra, Miss Sarah Rogers; 1854 per eredità del fratello Samuel Rogers, Londra; 2 maggio 1856, vendita Christie's Londra, lotto 556 acquisto da Campell; collezione W.H. Grenfell, Taplow Court, Tapolow; 1905, barone di Desborough, Buckinggamshire; 1945, per eredità alla figlia Imogen, viscountess Gage di Firle, Sussex; 1954 vendita Agnew, Londra; 5 novembre 1955, acquistato da Evelyn L. Joll; 10 luglio 1992, vendita Chirstie's Londra n. 4805, lotto 44 acquistato da Giuseppe Roi.
Inventari
Archivio: Spostato dal quadro alla cartella: busta con nota manoscritta "GAROFALO / SACRA CONVERSAZIONE / 5/05/008", con pp. 47, 48 e 49 del "Corriere della sera" del 5 aprile 2008, riportanti vari articoli sulla mostra Garofalo, pittore della Ferrara estense, Ferrara (5 aprile - 6 luglio 2008).
Foglio datato 8 settembre 1992 con analisi della cornice.
Fotocopie del catalogo generale del Garofalo (Fioravanti Baraldini, 1993) con scheda del quadro (cat. 32, tav. IX, PP. 107-108, copertina, frontespizio e particolare dell'opera; due copie).
Expertise di A. Ballarin datata 25 febbraio 1994.
Foglio datato 1998 con dati dell'opera (autore, titolo, tecnica e misure) e prezzo.
Foto: 2 diapositive a colori, 1 negativo, 3 copie in bianco e nero, una copia a colori.
Bibliografia
Waagen, 1854, II, p. 270; Venturi, Benson, 1894, pp. XXVI, XXVII, 15, 54; Venturi, 1894, p. 245; Gruyer, 1897, II, pp. 317, 336; Jacobsen, 1900, p. 367; Reinach, 1910, I, p. 339: Frabetti, 1966, pp. 19, 52; Berenson, 1968, p. 156; Sambo, 1983, p. 26; Ugolini, 1984, p. 63; Fioravanti Baraldi, 1993, pp. 107-108, cat. 32.