Ritratto della contessa Beatrice Salvi-Anselmi, 1855-1857
Autore | Giovanni Busato |
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Periodo | Vicenza 1806-1886 |
Datazione | 1855 - 1857 |
Supporto | tela, 74,5 × 62,5 |
Inventario | A 563 |
Autore della scheda | Margaret Binotto |
Iscrizioni
sul verso, sul telaio in alto a matita blu: 402=Busato=; a sinistra a matita blu: Ritratto di donna; sulla cornice, a destra: Maffei Ritratto di Lelio Piovene
Cartellini
sul telaio, a destra, su carta bianca, a stampa e a penna: museo civico vicenza / n. M 6 Busato Ritratto di donna; sul verso della cornice in alto a sinistra, su carta rossa, a stampa: comune di vicenza / Inventario 1954 / n. 8482
Provenienza
legato Caterina Dal Molin, Montebello (Vicenza) 1898 (MCVi, Museo, Protocolli, reg. 1, prot. n. 6 del 1898, gen. 21: la Giunta municipale avverte la Commissione alle cose patrie che Bortolo Dal Molin di Montebello manderà al Museo di Vicenza i quadri lasciati dalla madre in legato; segue prot. n. 19 del 1898, mag. 10: il sindaco comunica che l’assessore Gasparella e il signor Federico Castegnaro, incaricati di esaminare i dipinti del legato, “gli hanno trovati così scadenti, che non faticano in nessun modo a lasciarli agli eredi della legatrice, tranne però il quadro rappresentante il ritratto della signora Anselmi a opera del Busato, la quale dovrà essere deposta e conservata nel Museo” e chiede il parere della Commissione alle cose patrie, che, con prot. n. 20 del 1898, mag. 15, si dichiara d’accordo nell’accettare solo il ritratto; segue prot. n. 23 del 1898, giu. 5 con cui Bortolo Dal Molin invia il quadro del Busato “rappresentante la contessa Beatrice Salvi Anselmi”)
Restauri
1998, Renza Clochiatti Garla (Regesto delle opere, 2000, p. 312)
Inventari
1902: c. 139, 402. Ritratto di donna. Tela a olio. Giovanni Busato. Alto 0.80 × 1.10, Buono; 1908: 402 (557, 563). Giovanni Busato. Ritratto di donna. Nel 1908 si trova nella Sala dei moderni. Il 18 agosto 1905 il Municipio annunzia alla Commissione del Museo che il conte Uberto Barbaran Capra destinò in dono al Museo un quadro del Busato raffigurante Veronica Capra; 1910-1912: 563 aggiunta 1954. Numerazione vecchia: 563 inventario 1950. Provenienza: dono Uberto Barbaran Capra. Forma e incorniciatura: rettangolare. Dimensioni: 0.75 × 0.62. Materia e colore: tela dipinta a olio. Descrizione: Ritratto di donna (Veronica Capra). Autore: Giovanni Busato
Descrizione tecnica
Si segnala che il dipinto in esame, entrato nelle collezioni museali con legato Caterina Dal Molin nel 1898 e registrato da Minozzi nel 1902 come Ritratto di donna di Giovanni Busato, viene confuso, a partire dall’inventario del 1908, con il Ritratto di Veronica Capra (cat. 54), donato alla Pinacoteca da Uberto Barbaran Capra nel 1905. Nell’inventario del 1950 il Ritratto di Veronica Capra viene inventariato per due volte, ai numeri A 563 e A 697, sempre come opera di Giovanni Busato, anche se con misure diverse. Nel catalogo del 2000, Grandesso rettificava nella scheda A 563, cat. 22 il dato della provenienza, ma non informava dell’errore iniziale di inventariazione, di cui si dà spiegazione in questa sede. Inoltre l’iscrizione “Maffei Ritratto di Lelio Piovene”, tracciata sul verso della cornice, avverte che essa, in origine, adornava il Ritratto di Lelio Piovene, attribuito a Pittore veneto (1634) (Bottacin, 2004, pp. 135-136, cat. 78). La contessa Beatrice Salvi, “consorte di Luigi Anselmi possidente” e figlia di Giambattista, morì a soli 23 anni il 21 maggio 1849 a Venezia nel palazzo Zenobio a Dorsoduro, dopo 45 giorni di agonia (ASPV, Parrocchia di Santa Maria del Carmelo, Registri dei morti, reg. 5, 1849, mag. 23: ringrazio Manuela Barausse per la segnalazione). Il pittore coglie nell’atteggiamento pensoso e nello sguardo obliquo la malinconia e la solitudine di questa giovane donna, la cui precaria salute fu la causa di quell’infelicità che Giovanni Da Schio (Persone Memorabili in Vicenza, XIX secolo, BBVi, ms. 3396, c. 251r) descrive con accenti di sgradevole misoginismo: “nessuno si accorse (forse fuori di me) che l’intero, e la mente di costei erano affetti di morbi gentilizi: io lo intravidi nelle di lei malinconie, e nelli di lei ragionamenti. Fu cattiva moglie, e sterile. Ritornerà nella casa paterna. Nel 1848 fu la prima che gettò il vessillo tricolore a sventolare fuori del suo palco in Venezia alla Fenice. Cantò in quel teatro a pro’ dei poveri. I suoi mali l’uccisero durante la rivoluzione nel suo palazzo ai Carmini (oggi degli Armeni) sola, abbandonata, non avendo voluto imitare l’emigrazione dei suoi genitori”. Sempre Da Schio infatti ricorda che il padre Giovanni Battista (ivi, c. 250r), che ebbe il comando del quartiere di Dorsoduro nei giorni della rivoluzione del 1848, al ritorno degli austriaci “si ritirò nei suoi fondi di Albettone ove oggi 1854 vive tra utili speculazioni di agricoltura e filosofia, coltivando giardini, ed arricchendosi di preziosi libri”. Il conte Salvi “morì della morte più subitanea e più tranquilla che idearsi si possa nel maggio 1857” (ibidem). La personalità della sfortunata giovane aveva affascinato anche Jacopo Cabianca, che nel render noti i ritratti di Giambattista Salvi e della figlia, coniugata Anselmi, “tristi memorie di due cari desideratissimi” (“Il Berico”, 8 settembre 1858, p. 55), delineò con toccanti immagini il profilo psicologico di Beatrice. Busato stesso era venuto da Torino, dove allora aveva la propria bottega, per consegnare di persona alla vedova Salvi i due dipinti, attualmente di ubicazione ignota, ma la cui esistenza rappresenta un nuovo documento del rapporto intercorso tra i Salvi e il pittore vicentino, nel sesto decennio del secolo. Busato era stato infatti incaricato da Giambattista, ritornato nella sua residenza di Albettone, di “riparare gli oltraggi” subiti dagli affreschi della sua dimora (Barrera, in “Il Berico”, 17 ottobre 1858, pp. 101-102), allora attribuiti a Paolo Veronese (Zompero, 2015, p. 99, cat. 5) e oggi assegnati invece a Giovanni Antonio Fasolo (Lodi, 2008, pp. 104-106). Gli interventi di Cabianca e Barrera seguirono di pochi mesi la morte di Giambattista Salvi, cui va ricondotta anche la commissione del ritratto in esame, come pure suggerito da Marinelli (2003b). Sicuramente molto amata dal padre, che la fece ritrarre per ben due volte da Busato, nel dipinto descritto da Cabianca “Madama Salvi” siede “in un giardino sulla laguna e tra distratta e pensierosa poggia il gomito del destro braccio su marmorea balaustrata e d’esso fa mollemente puntello alla testa reclinata, mentre con l’altra mano sembra che giuochi con un serico ombrello”. L’atto di sostenere il capo (nel ritratto di ubicazione ignota) ritorna nel gesto della Beatrice effigiata nel dipinto in esame. Come identico è quel tratto “saturnino” della personalità della giovane: “nell’aria di quel volto è piacere e stanchezza, è voluttà e dolore; un non so che d’indefinito tra l’ingegno e la semplicità” e conclude, Cabianca, “noi la ricordiamo tutti così bella e melanconica: un fiore di quel giranio che si apre sulla sera e dura appena una breve notte d’estate”. Questo aspetto del carattere della gentildonna non ci impedisce di immaginarla, infiammata di ardori risorgimentali, sbracciarsi dal proprio palco della Fenice per festeggiare la cacciata degli austriaci: nobile fanciulla “ribelle” e, nel contempo, generosa. Busato la ritrae in questa tela “in una posa studiata, in diagonale di tre quarti, secondo la gran moda europea imposta da Ingres ed Hayez” (Marinelli, 2003b, p. 290); appoggia la guancia sulla mano destra, in un gesto dietro a cui si cela uno “stratagemma impiegato per sostenere la testa durante i lunghi tempi della posa fotografica” (Grandesso, 2000; Bordin, 1991, p. 586). Il ritratto difficilmente può essere stato realizzato dal vivo, nei giorni burrascosi dell’insurrezione veneziana; più verosimile che il pittore si sia servito di una fotografia. La consuetudine tra il pittore e Giambattista Salvi nel sesto decennio convince a datare l’esecuzione del dipinto tra il 1855 e il maggio del 1857, data della morte del committente. Rispetto ai ritratti degli anni quaranta di Maria Midi (1841, Vicenza, collezione privata), del Canonico Paolo Smiderle (1844, Schio, duomo di San Pietro), di Benedetto Manin (1845, Vicenza, collezione privata) e di Francesca Zigiotti (1845, Venezia, collezione privata), dipendenti dai modelli di Felice Schiavoni, nei quali l’effigiato è seduto su ampie poltrone di forme barocche, sullo sfondo di pareti decorate da carte da parati a fiori o da tendaggi e con aperture su paesaggi convenzionali, nella Beatrice Salvi Anselmi si affaccia perentorio il riferimento alla ritrattistica di Francesco Hayez e, in particolare, per questo dipinto, come suggeriva Brandellero (2001-2002, p. 56), al Ritratto di Caterina Bonvicini Cardinali (1840 circa, Milano, collezione privata: Mazzocca, 1983, pp. 283-285, cat. 143). La tecnica pittorica busatiana si fa tra gli anni cinquanta e sessanta sempre più levigata e scaltrita nell’impiego di sottilissime velature, fino a pervenire nei due ultimi decenni della sua produzione a effetti di “iperrealismo”, che sembrano “negare la pittura stessa”, con pennellate “non percepibili”, “lontane dalla pittura di tocco” (Marinelli, 2003b, p. 290). Dai ritratti hayeziani di Teresa Stampa Borri (1847-1849, Milano, Pinacoteca di Brera), di Matilde Juva Branca (1851, Milano, Galleria d’Arte Moderna) e di Antonietta Tarsis Basilico (1851, Roma, collezione privata) deriva inoltre l’effetto di “alonatura”, artificio imitato dalla tecnica fotografica, che incorniciando il personaggio in una sorta di aureola sfumata, stabilisce tra l’effigiata e chi la guarda un’intensa e seducente comunicazione emotiva. Le giovani dame, Caterina Bonvicini Cardinali di Hayez e Beatrice Salvi di Busato, sono accomodate su eleganti poltrone, collocate in diagonale rispetto allo sfondo neutro e scuro, che si accende di vibrazioni chiaroscurali nel contatto con la fonte di luce che proviene dall’alto a sinistra e accarezza i volti, lasciando in ombra i colli. I capelli, divisi in bande dalla scriminatura centrale, sono raccolti nei medesimi chignon. Entrambe sostengono il capo con la mano destra, in un atteggiamento vagamente meditativo, mentre appoggiano mollemente la sinistra sul grembo. Il candore rosato delle mani, palpitanti di vita, si esalta nel contrasto con il tessuto scuro degli abiti. Hayez sottolinea lo status sociale dell’effigiata, indugiando nella descrizione del ricco tessuto damascato della poltrona e del sontuoso bracciale d’oro indossato da Caterina; non manca, inoltre, di accostare, con uno strepitoso pezzo di bravura, il velluto luminoso della veste alla soffice pelliccia fulva della stola, avvolta al braccio sinistro. Busato offre del modello un’interpretazione più sobria e misurata, ma focalizzata con grande incisività sul particolare dato psicologico del personaggio. Straordinaria è la resa della lucentezza dell’abito grigio scuro, su cui risaltano i bianchi della lattughina, che profila il corpetto, e della fodera interna delle maniche. Di Hayez l’artista vicentino comprende con sorprendente finezza la capacità di scoprire nei propri ritratti “la forma immanente dello spirito e di rivelarlo sotto le spoglie dei colori e delle linee” (Carlo Carrà, 1919: in Gozzoli, Hayez, 1983, p. 262).
Bibliografia
Grandesso, in Musei Civici di Vicenza, 2000, pp. 89-90, cat. 22 (1880 circa); “Kos”, 2000, p. 32; Brandellero, 2001-2002, pp. 56-57, 209 (1850); Brandellero, 2003a, p. 665; Marinelli, 2003b, p. 290 (dopo il 1866); Zompero, 2010-2011, pp. 81-84; Cinque secoli di volti, 2012, p. 64.
Esposizioni
Vicenza, 2000, pp. 89-90, cat. 22; Vicenza, 2012, p. 64.