Ritratto a mezzo busto di Vincenzo Pellegrini
Autore | Alessandro Vittoria |
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Periodo | (Trento 1525 - Venezia 1608) |
Datazione | 1561 - 1566 |
Supporto | 62,7x56x34 |
Inventario | S 182 |
Autore della scheda | Sara Clementi |
Il busto marmoreo, giunto in Museo nel 1937 insieme agli altri pezzi della collezione del conte Arnaldo Primo Arnaldi Tornieri, ritrae il noto avvocato Vincenzo Pellegrini, figura di rilievo nel panorama forense veneziano di metà Cinquecento.
Alla fine degli anni Cinquanta Pellegrini lasciò Padova, dove aveva intrapreso una promettente carriera, per trasferirsi a Venezia. Qui, oltre ad affermarsi in campo professionale, ebbe modo coltivare la sua passione per l’arte e per il collezionismo. Riuscì infatti a costituire una nutrita raccolta di sculture antiche e rinascimentali stringendo allo stesso tempo rapporti di profonda amicizia con gli artisti di cui egli stesso era committente. Tra costoro vi era anche lo scultore trentino Alessandro Vittoria, che per lui realizzò questo ritratto, originariamente accoppiato al pendant, oggi perduto, raffigurante Giambattista, fratello minore di Vincenzo.
L’espressione del volto dell’effigiato è tesa e pensosa: gli occhi vividi e l’ampia fronte sono segnati dalle rughe, la bocca è serrata con forza, le sopracciglia sollevate.
L’opera, scolpita tra il 1561 e il 1566, si distingue, oltre che per il vigoroso scatto del capo ruotato verso destra, anche per la maestria con cui lo scultore riuscì, lavorando con minuzia il marmo, a rendere i particolari anatomici della figura: dalle pieghe dei padiglioni auricolari all’incavo della giugulare, dalla fossetta del mento ai riccioli - ottenuti utilizzando il trapano - della barba e della capigliatura.
Maestosità e plasticismo sono i tratti distintivi di questo busto che, come denunciano alcuni dettagli (il mantello fissato sulla spalla da un fermaglio e la presenza del piedistallo), si rifà alla ritrattistica romana di età imperiale.
Descrizione figurativa
Questo busto marmoreo di Alessandro Vittoria (1525-1608) rappresenta un noto avvocato, padovano di nascita, ma veneziano di adozione: Vincenzo Pellegrini. Questi, oltre ad esercitare con successo l'attività forense, si distinse anche per la sua passione per l'arte ed il collezionismo, che gli consentì non solo di costituire una nutrita raccolta di sculture antiche e rinascimentali, ma anche di entrare in contatto con i migliori artisti dell'epoca. Fra questi il Vittoria che gli realizzò questo ritratto. L'opera si distingue non solo per l'espressione del volto tesa e pensosa, con le rughe che solcano la fronte, la bocca serrata e le sopracciglia sollevate, ma anche per la minuzia dei particolari, dalle pieghe degli orecchi all'incavo della giugulare, dalla fossetta del mento ai riccioli della barba e dei capelli; in sintesi maestosità e plasticismo rappresentano i tratti distintivi di questo busto che si rifà alla ritrattistica romana di età imperiale.
Descrizione audio
Iscrizioni
dietro la spalla destra Alex. Vict. Trid. F.
Provenienza
Venezia, casa Pellegrini poi Zaguri, fino al 1811; acquisto Arnaldo Primo Arnaldi Tornieri, Vicenza 1811 (Tornieri, Memorie …, BBVi, ms. 3108-3111, c. 875; vedi campo provenienza cat. 1, E II 7)
Restauri
1989, Paolo Bacchin
Inventari
1910: N. 13 busti grandi e piccoli, compreso quello del conte Arnaldo I Tornieri; [1954]: E II 320. Alessandro Vittoria. Ritratto virile (è firmato dietro la spalla destra Al. Vict. Trid. F.). Marmo cm 62.7 (altezza)x56. Legato Tornieri Orgian.
Descrizione tecnica
Il busto venne acquistato dal conte Arnaldo Primo Arnaldi Tornieri dalla collezione della ricca dimora veneziana del vescovo vicentino Zaguri, e pervenne in Museo nel 1937 come legato. L’effigiato, riconosciuto come Vincenzo Pellegrini, fu figura di spicco del panorama forense lagunare di metà cinquecento; dopo aver ereditato dal padre un patrimonio minato da debiti cospicui, egli riuscì a risollevare nel giro di pochi anni le condizioni economiche della numerosa famiglia, al punto da investire ingenti risorse nell’acquisto di vasti territori nella zona di Conselve e da commissionare inoltre la costruzione di una villa, ora scomparsa, vicino a Bagnoli, decorata fra gli altri da Lambert Sustris e Schiavone. Reggendo con mano decisa le sorti della casata, Vincenzo ne decise, forse alla fine degli anni cinquanta, il trasferimento da Padova - città dove aveva cominciato una promettente carriera di avvocato - a Venezia, stabilendosi nel 1561 in un palazzo in campo San Maurizio. Colto connoisseur del panorama artistico veneto, egli raccolse una raffinatissima collezione di sculture rinascimentali e antiche, frequentando e intessendo relazioni di stretta amicizia con gli stessi artisti di cui era committente. Particolarmente articolato risulta anche il rapporto con Alessandro Vittoria; i due, infatti, oltre a condividere interessi di carattere artistico - fonti antiche parlano addirittura di una direzione dei restauri dei pezzi antiquari da parte dello scultore trentino -, facevano entrambi parte della Scuola Grande di San Rocco. Sotto tale luce va quindi letto il pezzo in oggetto, originariamente affiancato dal pendant con Giambattista, fratello minore di Vincenzo, attualmente scomparso.
Il nostro ritratto, realizzato in marmo bianco percorso da leggere venature grigie, si segnala per lo scatto vigoroso della testa - lievemente volta a destra - e per la minuta indagine anatomica, che coinvolge persino l’interno del padiglione auricolare e il morbido intaglio giugulare alla base del collo. Particolarmente riuscita appare la resa psicologica del soggetto; la vividezza degli occhi, segnati da rughe espressive, con una leggera linea incisa a evidenziare e a dare profondità sia all’iride che alla pupilla, la bocca serrata con forza e sottolineata da una fossetta nel mento, la fronte solcata da linee parallele, le sopracciglia lievemente sollevate, rendono infatti quasi palpabile un’atmosfera di dolente pensosità, mentre la barba e la capigliatura lavorate a trapano in profondità creano effetti di energico plasticismo. La veste è articolata in ampi panneggi che ricadono in pieghe morbide dall’effetto fortemente realistico e contribuiscono a dare ampiezza di respiro al pezzo, dopo il brano intensamente lavorato della testa. Il risultato finale è dunque un ritratto che emana un senso di forza trattenuta e impressionante maestosità.
Il busto vicentino si inserisce all’interno dell’importante filone ritrattistico che decretò il vastissimo successo dell’arte di Alessandro Vittoria in ambito lagunare: egli infatti, se non inaugurò questo tipo di produzione artistica, certamente contribuì a dare grande sviluppo al genere, trovando risposta più che positiva nella ricca committenza costituita dalla nobiltà veneziana, assetata di forme autocelebrative sempre nuove. Proprio in questo senso va letto il ricorso che spesso lo scultore fece a stilemi anticheggianti, che contribuivano a dare un’austera patina d’autorevolezza ai notabili della Serenissima eternati nel marmo.
Anche il ritratto di Pellegrini presenta con grande evidenza questo tipo di rimandi storico-culturali - in particolare vengono richiamati molto da vicino i ritratti dell’imperatore Marco Aurelio-, visibili ad esempio nella clamide, fissata sulla spalla sinistra con una fermaglio di forma rotonda decorato con un motivo floreale - presente anche in altri pezzi firmati dal nostro artista -, sotto la quale spunta lo scollo di una veste più sottile. Anche la presenza del piedistallo - atto ad offrirci la visione rialzata che doveva dare l’originale oggi perduto - è un chiaro elemento ripreso dalla ritrattistica romana di età imperiale, e distingue la produzione di Vittoria dopo la metà del secolo XVI, periodo che lo vede abbandonare l’abituale sintassi del busto a terminazione piatta poggiante sul proprio lato inferiore. In particolare, mentre molti dei ritratti da lui realizzati fino alla fine dell’ottavo decennio sono caratterizzati dalla terminazione tondeggiante della veste ripresa dalla statuaria romana, l’esempio vicentino mostra già una linea della base completamente dritta che si estende oltre il piedistallo, ad aumentare la presenza fisica della figura e il suo imporsi prepotentemente allo spazio circostante.
Quest’ultima soluzione, benché caratteristica dell’ultimo ventennio del secolo, compare già in qualche caso a partire dagli anni cinquanta.
Lungamente attribuita alla fase di attività dello scultore attorno alla fine degli anni settanta (Barbieri, 1962, II), l’opera è stata recentemente rivendicata da Mancini (Mancini, in Capolavori…, 1998) alla metà del decennio precedente. Vasari (1568, VII) infatti annota la presenza del nostro pezzo e del perduto pendant, ancorando così la datazione ad un momento tra il 1566, anno del suo passaggio a Venezia, e il 1561, quando la famiglia Pellegrini si spostò in laguna. Gli elementi stilistici che avevano fatto pensare ad una collocazione più tarda - sulla scorta anche di innegabili somiglianze con pezzi come il Girolamo Grimani nella chiesa San Sebastiano e il Benedetto Mazzini della Galleria Giorgio Franchetti alla Cà d’Oro a Venezia - vengono così a ridimensionare il proprio peso, ponendo invece l’accento sugli elementi di continuità formale ed espressiva che caratterizzano la produzione ritrattistica di Alessandro Vittoria.
Bibliografia
Tornieri, Memorie…, BBVi, mss. 3108-311, c. 875; Vasari, 1568, p. 519; Vendramin Mosca, 1779, p. 46; Fasolo, 1940, p. 49, cat. 178; Barbieri, 1962, II, pp. 263-264; Ballarin An., 1982, p. 103; Benali, 1985-1986, pp. 144-145, 154, 210, cat. 107; Martin, 1988, pp. 308-309; Mancini 1991, pp. 173-196; Barbieri, 1995, pp. 77-78; Mancini, 1995, pp. 145-147; Mancini, in Capolavori…, 1998, p. 55.
Esposizioni
Kiev, 1998, p. 55.