Compianto su Cristo morto

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AutoreGiovanni Bonconsiglio detto Marescalco
Periodo(Vicenza? 1465 circa - Venezia? 1535/1537)
Datazione1495
SupportoTavola, 178x159,6
InventarioA 12
Autore della schedaMaria Elisa Avagnina

Il dipinto, firmato dall’artista sulle rocce in basso a sinistra e risalente al 1495 circa, rappresenta una dolorosissima Pietà: una raffigurazione intensa e drammatica, lontana, nell’impianto compositivo, dalle tradizionali versioni del Compianto su Cristo morto. Non vi compaiono infatti i consueti richiami al paesaggio della Terra Santa, al contrario, l’immagine è resa attuale dall’ambientazione paesaggistica tipicamente vicentina.

Il corpo livido di Cristo, arditamente scorciato (in una posa che ricorre spesso anche nel repertorio di Andrea Mantegna) e lucidamente indagato dall’artista nei particolari anatomici, si posa sul grembo della Vergine, immobile, pietrificata dal dolore, creando una diagonale che conduce lo sguardo dell’osservatore al cuore della rappresentazione. Il coinvolgimento emotivo dello spettatore è reso ancor più intenso dal forte realismo dei personaggi: in particolare la Maddalena avvolta in un elegante abito alla moda, nel cui volto rigato dalle lacrime è forse possibile riconoscere il ritratto della figlia del committente e il san Giovanni, la cui figura monumentale rivela, insieme a quella della Vergine, suggestioni di Bramante.

È l’opera di un artista ancora giovane che risente l’influenza della pittura lombarda e in particolare bramantesca, e che conosce a fondo gli esiti contemporanei dell’arte pittorica tra Milano e Venezia. Egli ha tuttavia già maturato una forte sensibilità spaziale, come denota la libertà della composizione chiusa sulla destra da un incombente sperone roccioso e disposta su un basamento di pietra.

Il dipinto era originariamente collocato nella terza cappella di destra della chiesa di San Bartolomeo a Vicenza.

L’opera è racchiusa da una cornice a tempera monocroma in grigio su fondo blu, perfettamente intonata alla cromia del dipinto, realizzata dall’artista. A tale cornice ne corrispondeva probabilmente una analoga in pietra, attualmente ricostruita sul primo altare a destra della chiesa dei Carmini di Vicenza.

Iscrizioni

sul cartiglio appuntato sulla roccia in basso a sinistra JOANES BONICHONSILIJ. P./. MARESCHALCHO

Cartellini

1949-1950 N. 12/ Giovanni Buonconsiglio/ Cristo deposto con Maria Vergine/ San Giovanni e la Maddalena/ Tavola […]; 1954 N. 8057; su carta bianca, a penna con inchiostro nero Vicenza lì 31 Agosto 18[…]/ N. 9 quadri di appartenenza dell’[…]/ Grande degli […]/ Vicenza, amministrazione della Congregazione/ della Carità/ Vedi […]/ di detta Congregazione […]/ Municipale

Provenienza

Vicenza, chiesa di San Bartolomeo; Vicenza, Sacro Monte di Pietà, 1819; Vicenza, deposito presso il palazzo Municipale, 1820; Vicenza, palazzo Municipale, sala del Consiglio, 1831; Vicenza, acquisto del Comune dalla Congregazione di Carità, 1833 (MCVi, Museo, Acquisti, b. 1, fasc. “Acquisto dipinti Ospedale civile” contenente la corrispondenza intercorsa tra la Congregazione municipale e l’Ospedale civile di Vicenza per l’acquisto di dipinti di proprietà dell’Ospedale, perfezionato con delibera consigliare del 1833, giu. 28, inserto “prospetto dimostrante il prezzo attribuito ai dipinti posseduti dall’Ospedale civile di Vicenza, de’ quali si progetta la vendita a quella Congregazione municipale, eretto dalla Commissione istituita dalla presidenza della imperial regia Accademia delle belle arti coll’ordinanza 8 agosto 1832”, Venezia, 1832, ago. 26: al n.“6. Buonconsiglio. Cristo morto colla beata Vergine piangente, santa Maria Maddalena e san Giovanni Battista. Questo autore venne molto dagli scrittori lodato, fors’anche d’avvantaggio, quando si consideri che le sue opere mancano in generale di spirito pittorico e sembrano piuttosto figlie della fatica e dello studio. Tuttavia fece delle opere lodevoli e si meritò una fama presso i dilettanti e raccoglitori. Il quadro però di cui trattasi non può a giusta ragione esser posto nel numero delle migliori sue opere per una soverchia durezza nel chiaroscuro e per un’espressa fatica sparsa in tutto il dipinto e, specialmente, per il ferreo colorito nel soggetto principale, cioè nel Cristo in grembo della madre. Vi si ammira però una somma diligenza negli accessori, ne’ capelli, ed in tutte le parti che, quantunque non sia questa la prerogativa più degna di lode, perché figlia più della buona volontà che del genio, pur merita tuttavia una seria riflessione. Abbenché a prima vista sembri bisognoso di poco ristauro, pure considerato il sommo annerimento del colore sia nelle carni come ne’ panni e la difficoltà di ridonargli la necessaria lucentezza, nonché i molti ridipinti, oggetti tutti che ne rendono difficoltoso, lungo, e di grande dispendio il ristauro, non si è creduto di oltrepassare il prezzo di zecchini 80”)

Restauri

1908, relazione della Commissione d’inchiesta sullo stato di conservazione: “La commissione constata che nella proposta di acquisto del Buonconsiglio nel 1832 è detto: abbenchè a prima vista sembri bisognoso di poco ristauro, pure considerato il sommo annerimento del colore, sia nelle carni come nei panni e la difficoltà di ridonargli la necessaria lucentezza, nonché i molti ridipinti, oggetti tutti che ne rendono difficoltoso, lungo e di grave dispendio il restauro, non si è creduto di oltrepassare il prezzo di zecchini ottanta (relazione firmata da tre accademici della imperial regia Accademia di Venezia). Non risulta che allora si sia fatto restauro, risulta invece da documenti che il quadro fu restaurato nel 1858 dal Tagliapietra. Nel 1857 l’assessore Lampertico aveva riferito che gli otto dipinti (fra i quali quello del Buonconsiglio) sono danneggiati da scrostature e sollevamenti di colore che in più luoghi è staccato e minaccia di cadere. Per preservare da un guasto maggiore quei classici lavori richiedesi urgentemente il fermare con i soliti glutini il colore staccato. Dopo il 1858 non esiste notizia di altri restauri” (MCVi, Museo, Verbali, reg. 1, verbale del 1908, mar. 20, cc. 42v-43r); 1907, Eraclio Minozzi, stesura di “colletta” addensante (MCVi, Museo, Verbali, reg. 1, c. 43v-44r); 1909, Franco Steffanoni sotto la direzione di Cesare Laurenti; 1953, Giuseppe Giovanni Pedrocco; 1973, Giuseppe Giovanni Pedrocco; 1986, Corest

Inventari

1820: 5. Tavola con Cristo morto colla beata Vergine piangente, san Giovanni evangelista, santa Maria Maddalena con fregio di chiaroscuro con trittoni e puttini sotto la pala, opere tutte di Giovanni Buonconsiglio. Proprietà dello Spedale grande degli infermi e de’ poveri amministrato dalla Congregazione di Carità; 1831: 109. Sala detta del Consiglio. Buonconsiglio. La beata Vergine col Cristo morto, santa Maria Maddalena. Ospitale civile, n. 2495 del 1820, 5; [post1834]: 147. Buonconsiglio. La beata Vergine con Cristo morto, santa Maria Maddalena e san Giovanni, 72; 1854: 72. 2.55. 2.15. Buonconsiglio. Deposizione; [1873]: Antichi vicentini, quarta stanza a tramontana, parete prima, 20 (10). Giovanni Buonconsiglio. Gesù Cristo deposto, Maria vergine, san Giovanni, Maria Maddalena; 1873a: c. 7, 20. Giovanni Buonconsiglio. Gesù Cristo deposto dalla croce, Maria vergine, san Giovanni e santa Maria Maddalena; 1902: c. 63, 288 (279). 279 [corretto su 22]. Gesù Cristo deposto, Maria vergine, san Giovanni e santa Maria Maddalena. Tavola [depennato ad olio]. Alto 1.80, largo 1.60. Giovanni Buonconsiglio. Assai [corretto su molto] guasto. Non buona. Dalla chiesa di San Bartolomeo; nel cartello avvi la firma Ioanes Bonichonsilii Mareschalcho pinxit. La cornice architettonica (ridorata) con stemmi della famiglia Nievo è pregevole per i suoi varii fregi a chiaroscuro; 1907: c. 32, 281 (279). Giovanni Buonconsiglio. Gesù Cristo deposto, Maria vergine, san Giovanni e santa Maria Maddalena. Tavola, 1.80x1.60. Dalla chiesa di San Bartolomeo. Nel cartello avvi la firma Ioanes Bonichonsilii Mareschalcho pinxit. La cornice architettonica (ridorata) con stemmi delle famiglie è pregevole anche per i suoi vari fregi a chiaroscuro. 1908: 279 (12). Giovanni Buonconsiglio. Gesù deposto, Maria vergine, san Giovanni e santa Maria Maddalena (tavola, 1.80x1.60, firmata dall’autore) con fregi a chiaroscuro nella cornice e stemma. Nel 1908 si trova nella stanza dei vicentini. Nel 1873 era nella stanza degli antichi vicentini al n. 20. Nel catalogo a stampa del Magrini si trova in sala al n. 11. Nell’inventario di consegna della Pinacoteca al Museo nell’anno 1854 porta il n. 72 colle dimensioni 2.55x2.15. Pervenne alla Pinacoteca nel 1820 per deposito dalla Congregazione di Carità, che lo vendette definitivamente alla Congregazione municipale il 13 settebre 1833 per zecchini 80; 1910-1912: 12, esposto. Numerazione vecchia: 279 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 288 catalogo1902; 20 catalogo 1873; 11 Magrini catalogo a stampa 1855; 72 inventario di consegna 1854; 12 catalogo 1912; 12 catalogo 1940; 12 inventario 1950. Provenienza: dalla distrutta chiesa di San Bartolomeo. Collocazione: II sala dei vicentini. Forma e incorniciatura: rettangolare con cornice dorata e fregiata dallo stesso autore. Dimensioni: 1.80x1.60. Materia e colore: tavola a tempera. Conservazione e restauri: restaurata da Franco Steffanoni nel 1909 (pulita per precedenti cattivi ristauri); nel 1953 la tavola che si era incurvata, venne raddrizzata ed armata internamente con intelaiatura in legno (prof. Giuseppe Pedrocco). Descrizione: Gesù deposto, Maria vergine, san Giovanni e santa Maria Maddalena; nel fondo un castello; in basso sopra un cartelino si legge Joanes Bonichonsilij Mareschalcho p. Autore: Giovanni Buoncosiglio; catalogo 1912 Giovanni Buoncosiglio; catalogo 1940 Giovanni Buonconsiglio; inventario 1950 Giovanni Buonconsiglio; prof. Schapiro di Londra (comunicazione orale 2.10.57) dipinto del 1519 (non ricorda in quale pubblicazione lo ha letto). Bibliografia: Tancred Borenius, Buoncosiglio and Van Dyck, Bollettino del Museo di Vicenza, fasc. I, 1910. Iconografia: foto Alinari 13506; foto Soprintendenza alle Gallerie 48/2675.

Descrizione tecnica

La tavola era originariamente ubicata nella chiesa di San Bartolomeo a Vicenza, sull’altare della terza cappella del lato destro, consacrata all’Annunciazione e patronato dei Nievo, come indicavano l’iscrizione sepolcrale di Angelo Nievo, figlio di Bartolomeo, per lui posta in morte dalla moglie Lucia (Barbarano, 1761; Mantese¹, 1964) e gli stemmi gentilizi della famiglia (d’oro a tre bande di rosso) riconosciuti da Foratti (1907), un tempo sulle basi delle paraste della cornice. Qui la ricorda, primo fra tutte le fonti vicentine, il Boschini (1676) che, oltre ad evidenziare il “bellissimo Paese” e il “fregetto di chiaro oscuro, con tritoni, e Puttini à cavallo”, menziona pure, sovrapposta al dipinto, una figura di “Santa Catterina della Ruota” e ai lati “due forme rotonde, nell’una l’Angelo, e nell’altra la B.V. annonciata”, rispondenti all’intitolazione della cappella, anche queste di mano del Bonconsiglio seppure più tarde, tutte analogamente in Museo (cat. 44 A 42, cat. 43 A 40). Concessa in deposito dalla Congregazione di Carità, proprietaria della chiesa, al Comune di Vicenza nel 1820 fu da questo acquistata nel 1833 per la cifra davvero modesta di 80 zecchini. Segnalata nel 1822 e nel 1830 (Berti) nel palazzo comunale, adiacente all’epoca alla Basilica palladiana, fu trasferita nel 1832 (Rumor, 1910) nel salone della Confraternita dei Rossi, al piano superiore dell’oratorio di san Cristoforo, per entrare definitivamente in palazzo Chiericati nel 1855, al momento dell’inaugurazione del Museo.

Il dipinto raffigura un Compianto su Cristo morto, rappresentato non secondo i canoni tradizionali della cosidetta “commemoratio sepulchri dominici”, che prevedeva un fedele richiamo allo scenario e ai particolari storici della passione, ma interpretato in forma attualizzata, con il ricorso ad ambientazioni e personaggi reali e noti, al fine di incentivare una più diretta partecipazione del fedele all’evento sacro, secondo quanto prescritto da manuali devozionali dell’epoca (Dal Pozzolo, 1998, pp. 33-34). Si giustificano in quest’ottica l’assenza di riferimenti ai Luoghi Santi e le coordinate locali, venete del paesaggio dello sfondo, in cui pare di poter cogliere il ricordo di strutture castellari vicentine dell’epoca, sul tipo di quelle di Marostica e di Montecchio Maggiore, nonché l’espressività intensa, non convenzionale della Maddalena, nella cui figura elegantemente abbigliata alla moda e nel cui volto intento, rigato da lacrime di perle, sembra convincente, anche se non provato, riconoscere un ritratto della figlia di Angelo e Lucia Nievo, Maddalena, secondo un’ipotesi già avanzata da Crowe-Cavalcaselle (1871) e ripresa da Dal Pozzolo (ib.). L’esasperata urgenza realistica con cui è interpretato il soggetto non risparmia neppure la figura divina del deposto, il cui corpo “corazzato di morte” è indagato nella sua struttura fisica con imperterrito realismo che tradisce, accanto alle propensioni stilistiche del pittore, posizioni teologiche diffuse in quegli anni a Vicenza e nel suo territorio, volte a riaffermare, contro le deviazioni ereticali, la natura umana di Cristo e la sua presenza concreta nel mondo e nella storia.

Firmato sul cartiglio appuntato sulla roccia in basso a sinistra, il dipinto costituisce senza dubbio l’opera più celebre e il capolavoro del Marescalco, un unicum indimenticabile e senza confronti nel panorama della pittura veneta del tardo ‘400 e nel catalogo dello stesso pittore, tale da giustificare la definizione del Bonconsiglio come “poeta… di un solo dipinto” coniata per l’artista da Longhi (1946).

Fatta eccezione per Foratti (1918) che lo anticipa al 1492 circa e per Fasolo (1940) e De Logu (1958) che lo ritardano al 1500, il dipinto é stato riferito per giudizio pressochè concorde della critica all’ultimo lustro del XV secolo, prevalentemente al 1495 circa (Puppi, 1964-1965, p. 306; Barbieri, 1972; Zeri, 1976; Avagnina, 1986), prima della pala datata della Giudecca, del 1497, e comunque all’interno del soggiorno del pittore a Venezia, per l’intensità delle suggestioni belliniane di prima mano che denota (Fiocco, 1930; Longhi, 1946). Sgarbi² (1980, p. 35), seguito da Bucci (1993), ne precisa la data”a qualche tempo prima del 1495”. Recentemente Dal Pozzolo (1998, pp. 32, 196-197) è tornato a proporre per la tavola una datazione precoce agli anni 1490-92, più a ridosso della morte del Nievo (1489) e della probabile ultimazione della cappella e in prossimità di opere di Bartolomeo Montagna degli inizi del nono decennio, affini per risalto monumentale e compattezza della forma, in particolare la Crocifissione del refettorio di Praglia, affrescata a partire dal 1491. Nel rapporto tra le due opere del maestro e del discepolo, lo studioso si pronuncia a favore di una leggera priorità del Compianto di Vicenza rispetto all’affresco padovano, per il quale invece Sgarbi² (1980, pp. 41, 62 n. 66) aveva a suo tempo avanzato l’ipotesi di un intervento del Marescalco nel cielo, data l’evidente analogia con quello della pala oggi in Museo, caratterizzato dalle stesse piatte striature, seppure di colore diverso.

Oltre agli echi del patetismo belliniano e alle consonanze montegnesche evidenziate, la critica ha di volta in volta ravvisato nell’opera riferimenti culturali diversi, da suggestioni lottesche nella durezza cromatica (Cavalcaselle-Crowe, 1912; Spettoli, 1950), a ricordi ferraresi nelle asprezze formali (Podestà, 1946; Puppi, 1964-1965, p. 305) e nel gusto dell’ornamentazione (Pallucchini, in Cinque secoli…, 1945, p. 55), da reminescenze padovane, in particolare mantegnesche nello scorcio ardito del Cristo (Dal Pozzolo, 1998, p. 29), a richiami alla coeva cultura lombarda, già acutamente intravvisti da Longhi (1946) e ripresi con vigore da Zeri (1976) e dalla critica successiva (Lucco; Sgarbi; Dal Pozzolo). L’apertura verso l’ambiente lombardo e l’ipotesi della conoscenza da parte del Marescalco della contemporanea cultura milanese bramantesca e bramantinesca, avvicinata probabilmente durante un viaggio alla Certosa di Pavia insieme al Montagna (Sgarbi², 1980, p. 37) consentono di spiegare meglio di ogni altro riferimento la possente quadratura spaziale e l’afflato realistico, a tratti quasi plebeo, delle figure del Compianto vicentino, prima fra tutte quella di san Giovanni che, nella saldezza dell’impianto monumentale e nel volume pieno del volto incorniciato da una folta capigliatura, richiama da vicino gli Uomini d’arme di casa Panigarola oggi a Brera, eseguiti da Donato Bramante intorno al 1486-1487.

La studiata impostazione architettonica del gruppo dei dolenti in primo piano e l’innesto tra questi del corpo scorciato di Cristo trovano riscontro per Zeri in opere del Bramantino quali la Natività dell’Ambrosiana, che presenta un’analoga aggregazione piramidale delle figure, intersecate dalla diagonale del Bambino, adorato a terra dalla Vergine, mentre l’intensità introspettiva del volto della Maddalena sembra addirittura riecheggiare la ritrattistica coeva di Leonardo.

Il dipinto denota nel pittore una forte sensibilità spaziale, sottolineata dalla spregiudicata libertà della composizione, serrata sulla destra dall’incombere della quinta rocciosa e disposta su un’anfiteatro di rocce fossili di derivazione montagnesca. La spoglia livida e scorciata del Cristo che si innesta diagonalmente nel grembo della Vergine determina una direttrice di approccio al quadro che risulta efficacemente coinvolgente, sollecitando da parte del riguardante più partecipazione che contemplazione.

La pala, unica delle tavole di San Bartolomeo a conservare l’originario supporto ligneo, presenta condizioni di conservazione non ottimali per la cronica instabilità del colore (ricorrenti sollevamenti del colore) e per la consunzione della pellicola pittorica dovuta a sconsiderate puliture condotte in passati restauri, particolarmente in corrispondenza delle vesti della Vergine e di san Giovanni. Presso l’archivio del Museo si conserva una riproduzione fotografica della figura della Madonna di grande interesse (foto Miola, s.d.), in cui risulta visibile il disegno del manto blu con un particolare della ricaduta delle pieghe sul terreno, caratterizzato da un segno tagliente e acuminato di ascendenza decisamente montagnesca.

Il dipinto è racchiuso da una cornice autografa decorata a fregi monocromi di soggetto vegetale nei montanti e nella cimasa e a tritoni e putti nella predella, di splendida vitalità (Zeri, 1976), cui doveva corrispondere sul fronte della cappella una analoga incorniciatura lapidea, oggi rimontata sul primo altare di destra della chiesa dei Carmini di Vicenza.

Bibliografia

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Esposizioni

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