Cristo portacroce

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AutoreBartolomeo Montagna
Periodo(Vicenza? 1449 circa - Vicenza 11 ottobre 1523)
Datazione1500 - 1520
SupportoTavola, 53,6x47,8; spessore 1,6
InventarioA 335
Autore della schedaGiovanni C.F. Villa

Si tratta di una delle opere qualitativamente più elevate di Bartolomeo Montagna, per capacità di resa emotiva e per la perizia nella pennellata, stesa a rapidi e fitti tocchi sulla base di un impianto disegnativo essenziale, fatto - come mostra l’indagineinfrarossa a cui è stato sottoposto il dipinto - delle sole linee di contorno.

Il linguaggio ormai maturo del maestro, agli inizi del Cinquecento - periodo a cui è possibile ricondurre l’opera -, si apre alle novità proposte dalla pittura veneziana, in particolare dalla lezione di Giorgione, perdendo in parte la severità delle origini. Alcuni particolari del volto di Cristo, come lo sguardo intenso, gli occhi lievemente arrossati, la lacrima che gli riga la guancia, la bocca socchiusa e le gocce di sangue che gli solcano la fronte rivelano tutta la sua sofferenza. L’espressione patetica e commovente del Cristo, la fusione dei toni di colore, sottolineata dall’intensità dei chiaroscuri, l’intonazione intimistica e profondamente malinconica che percorre tutta l’opera sono caratteri propri di questo nuovo orientamento del percorso artistico di Bartolomeo Montagna: sembra quasi che “il maestro cercasse conquiste nuove, ma ancora nella linea della propria intensa e privata emotività” (Villa).

L’infrarosso ha inoltre portato alla luce un ripensamento da parte dell’artista in merito alla posizione della mano sinistra del Cristo, prima pensata più in basso rispetto alla realizzazione definitiva, in una posa in verità piuttosto innaturale.

Cartellini

s.d.3 Bart. Montagna/ Cristo portacroce; 1949-1950 N. 335/ Bartolomeo Montagna/ Cristo Portacroce/ tavola 53x48; sul verso, a matita sulla tavola, in corsivo Montagna/ Camillo Franco/ e famiglia tutta 7/5/1913; a penna con inchiostro blu, in corsivo Alberto Franco; a matita: Pacco XI

Provenienza

acquisto dalla famiglia dei conti Franco, Vicenza 1913 (MCVi, Museo, Acquisti, b. 1, fasc. “Acquisto del Cristo che porta la croce del Montagna” lettera del 1913, apr. 28 con cui il conte Camillo Franco scrive a Luigi Ongaro, direttore del Museo, comunicando il desiderio della sua famiglia di vendere il dipinto; segue lettera del 1913, mag. 9 con cui la Soprintendenza ai musei e gallerie di Venezia si congratula con la direzione del Museo civico di Vicenza per l’acquisto del Cristo che porta la croce del Montagna, da una minuta non datata inserta nel fascicolo si evince che gli “eredi e successori del nobile conte Francesco Franco del fu Camillo” si accordano con la Commissione direttiva del Museo civico per la somma di lire 13.000)

Restauri

2005, Renza Clochiatti Garla

Inventari

1910-1912: 335, aggiunta 1954. Numerazione vecchia: 335 catalogo 1940; 335 inventario 1950. Provenienza: 1940 acquisto Ongaro dalla Galleria dei conti Franco. Forma e incorniciatura: rettangolare. Dimensioni: catalogo 1940 0.51x0.55; inventario 1950 0.53x0.48. Materia e colore: tavola. Descrizione: Cristo portacroce. Autore: catalogo 1912 Bartolomeo Montagna; inventario 1950 Bartolomeo Montagna.

Descrizione tecnica

Tavola mirabile per capacità di resa emotiva e maestria di tocco, è una delle opere più felici di Bartolomeo Montagna all’aprirsi del nuovo secolo, quando il maestro vicentino tenta un aggiornamento sulle novità giorgionesche, qui definite in versione “umana” in parallelo alle sperimentazioni che portava avanti a livello paesistico con prove come il san Girolamo di Brera. Il Cristo portacroce fu letto da Puppi (1962) in stretta contiguità con il Cristo benedicente che l’artista firma e data 24 settembre 1507 ed oggi alla Gallery of Fine Arts di Columbus, a sua volta evoluzione ultima del dipinto di medesimo soggetto conservato presso la Galleria Sabauda di Torino recante l’iscrizione “OPUS BARTHOLAMEI MONTAGNA MCCCCCII/ A DI V OTUBRIO”. Se la caratterizzazione somatica del commovente Cristo vicentino, splendidamente leggibile nella sua originalità, si lega fraternamente al pezzo torinese, questi viene trasfigurato con magistrale regia emotiva in un pathos desueto all’arte montagnesca, qui a vertici intoccati dopo i capolavori degli anni ottanta e novanta del quattrocento, mantenendo un prodigioso equilibrio tra languore pietistico e concreta definizione. Un capo d’opera ottenuto con pennellate brevi e fittissime su di una struttura disegnativa quasi inesistente e limitata al puro contorno - come mostra l’indagine infrarossa nel solo ripensamento sul posizionamento della mano sinistra - che segna l’accettazione da parte del maturo maestro delle novità veneziane almeno nell’intensità chiaroscurale e nel tono intimistico, qui spiritualmente assimilate ma presto abbandonate a favore di modellati ripetitivi e stanchi, proprio come nella versione del 1507 del Cristo benedicente, così da indurre a datare la tavola vicentina intorno al 1504 -saldatura cronologica proposta da Fasolo (1940) e Barbieri (1954, 1981 e 1995), mentre Borenius (1912) propendeva per il 1507 e Adolfo Venturi retrodatava al 1500 - meditazione privata a precedere l’esperienza veronese e per alcuni da collegarsi agli stimoli direttamente offerti dal dipinto giorgionesco di analogo soggetto al Gardner Museum di Boston e originariamente nella collezione vicentina Loschi dal Verme.

Bibliografia

Foratti¹, 1908, p. 30; Bore­nius, 1909, p. 64, 65, 190; Bore­nius, 1912, pp. 64, 65-66, 191; Ven­turi, 1915, pp. 474-475; Berenson, 1916, p. 193; Berenson, 1919, p. 184; Bortolan-Rumor, 1919, p. 150; De Suarez, 1927, p. 9; Cor­na, 1930; Foratti¹, 1931, p. 75; Be­renson, 1932, p. 369; Peronato, 1933, p. 65; Arslan, 1934, p. 7, 27; Berenson, 1936, p. 317; Fasolo, 1940, pp. 62-64; Dalla Pozza, 1949, p. 3; Barbieri, 1952, p. 9; Barbieri¹, 1953, p. 202; Magagnato, 1953, p. 175; Barbieri¹, 1954, p. 198; Barbieri², 1954, p. 174; Barbie­ri-Magagnato, 1956, p. 175; Puppi, 1956-1957, pp.178-179; Beren­son, 1957, I, p. 117; Berenson, 1958, I, p. 121; Puppi³, 1958, p. 8; Barbieri, 1962, I, pp. 179- 180; Heinemann, 1962, p. 47; Puppi¹, 1962, pp. 64, 140; Barbieri, 1981, p. 68; Ballarin An., 1982, p. 84; Barbieri, 1995, p. 56; Banzato, 1996, I, pp. 306- 307.

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